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Jacinda Ardern, la prima ministra neozelandese, ha annunciato che si dimetterà il prossimo 7 febbraio, nove mesi in anticipo rispetto alle elezioni politiche. L’annuncio è stato sorprendente perché le dimissioni non sono state provocate da una crisi politica, ma da una sua decisione: «Essere primo ministro –ha spiegato- è stato il più grande onore della mia vita e voglio ringraziare i neozelandesi per l’enorme privilegio di guidare il Paese negli ultimi cinque anni e mezzo. Lascio perché questo lavoro così privilegiato comporta anche una grande responsabilità, quella di sapere quando sei la persona giusta per guidare il Paese e anche quando non lo sei. Per me è giunto il momento». Jacinda Ardern ha 42 anni ed è stata la premier più giovane della Nuova Zelanda e la terza donna primo ministro del Paese, durante il mandato è nata la figlia.
Leggendo questa notizia ho provato ad immaginare se qualcosa di simile sarebbe potuto accadere in Italia, ma sospetto che sarebbe improbabile. Intanto perché a 42 anni da noi le carriere apicali cominciano, non finiscono; inoltre perché le carriere politiche sono vissute come traguardi progressivi perseguiti con tenacia e gomiti, e –se capita che si interrompano bruscamente- quasi mai è per scelta del soggetto interessato (piuttosto per crisi politiche, tracolli elettorali, incidenti di percorso); ma -soprattutto- perché mentre non difettano quanti ritengono “di essere la persona giusta per guidare il Paese”, è molto raro incontrare qualcuno che ritenga “di non esserlo più”.
Il punto è il senso che si dà al proprio impegno politico: o è vissuto prioritariamente come servizio efficace alla comunità, con l’effetto secondario di essere gratificante per chi lo svolge o è vissuto prioritariamente come affermazione di se stessi, con l’effetto secondario di poter essere un servizio efficace per la comunità.
Difficile distinguere dall’esterno quale delle due priorità stia prevalendo (tranne clamorosi ipertrofismi dell’ego!) e spesso è difficile distinguerlo anche dall’interno. Nel primo caso lo strumento di verifica è la misura -il più oggettiva possibile- dell’efficacia del lavoro, una verifica auspicabilmente collegiale e non autogestita; nel secondo caso l’unica misura finisce per essere l’autostima ed è improbabile che decresca spontaneamente e che ci si convinca a far prevalere la valutazione dell’efficacia.
Jacinda Ardern, nel discorso in cui ha annunciato le dimissioni, ha affermato: “Guidare un paese è uno dei lavori più impegnativi. Non si può, né si deve, farlo se si ha il serbatoio vuoto, oltre a un po’ di riserve per le sfide inaspettate. Bisogna chiedersi: sono in grado di guidare il mio paese ora? Ho le forze necessarie per farlo?”: mi sembrano queste le domande giuste, che si debba guidare un paese, un comune, un’impresa o un condominio.
La Nuova Zelanda è agli antipodi dell’Italia, speriamo solo geograficamente.