Nella sua celebre opera teatrale, “La vita di Galileo”, Bertolt Brecht mette in scena il dramma dello scienziato che, convinto della teoria copernicana (è la terra che gira intorno al sole), intende dimostrare l’erroneità del sistema tolemaico-aristotelico (è il sole che gira intorno alla terra) e lo fa pubblicando il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, ma -così facendo- entra in contrasto esplicito con la dottrina ufficiale della chiesa, viene condotto davanti al tribunale dell’Inquisizione, incarcerato e processato. Verso la fine del dramma i suoi discepoli aspettano con angoscia di scoprire l’esito dell’interrogatorio e con sorpresa apprendono che Galileo ha deciso di abiurare le sue dottrine, scongiurando così la condanna a morte; sono amareggiati e lo criticano aspramente. Quando Galileo confessa loro di aver preso quella decisione per paura della tortura, Andrea Sarti -il suo allievo prediletto- si lamenta deluso che sulla terra non ci siano più eroi e Galileo replica esclamando: “Beato un popolo che non ha bisogno di eroi!”.

Mi ha sempre colpito questa affermazione che Brecht mette in bocca a Galileo e  spesso mi sono chiesto se davvero le cose stiano così: di quale tipo di “eroi” non abbiamo bisogno e di quale tipo non possiamo invece fare a meno? 

Ci sono “eroi” che non pretendono affatto di esserlo, che non detengono alcun potere, non si pongono come figure carismatiche e -tuttavia- riescono ad essere per noi modelli di coerenza e di efficacia. La scorsa settimana è scomparso un mio caro amico, Giampiero Forcesi, che probabilmente anche alcuni dei destinatari di questa newsletter hanno avuto l’opportunità di conoscere. Con Giampiero ho condiviso molte vicende, impegni e riflessioni fin dai tempi della Focsiv -negli anni ‘80- poi durante i miei mandati come assessore per le politiche sociali -negli anni ‘90- e anche successivamente, fino all’attuale attività con l’ASP Sant’Alessio.

Giampiero era esattamente l’opposto dell’eroe condottiero, dell’eroe modello, dell’eroe saggio e distaccato; era l’eroe immerso nella storia, capace di sporcarsi le mani, di stare vicino concretamente a quanti lo hanno avvicinato e -soprattutto- a quelli che lui ha cercato ed avvicinato: gli abitanti delle borgate romane di Prato Rotondo e della Magliana, gli studenti stranieri in Italia, gli amici dell’associazione di solidarietà con il Kivu, i giovani giornalisti con i quali ha collaborato nella sua lunga attività culturale di redattore e scrittore con il suo personalissimo stile che privilegiava sempre la sostanza rispetto all’apparire. Giampiero era un intellettuale vero, capace di individuare criticamente i motivi profondi del disagio sociale e -non fermandosi alla sola analisi- cercava e trovava il modo di trasformare concretamente le relazioni sociali. Galileo -nel racconto di Brecht- abiura per paura del potere ritenendo che le sole scelte possibili fossero il morire da eroe o il sopravvivere mentendo; Giampiero -nella sua vita- ha incarnato una terza via: quella della coerenza senza sconti che non ha bisogno di scegliere tra eroismi conclamati e abiure attutite. 

Forse una società perfetta non ha bisogno di eroi, ma noi -nella nostra spesso confusa ricerca di speranza- ne abbiamo talvolta bisogno; ci sono necessari perché, anche senza parlare, ci indichino il percorso.