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Alla fine dello scorso anno, la presidente della Commissione ha chiesto a Mario Draghi di predisporre un “Rapporto sul futuro della competitività europea”; il rapporto è ormai quasi pronto e la scorsa settimana, nel suo intervento alla Conferenza sul Pilastro Europeo dei diritti sociali, lo stesso Draghi ne ha tratteggiato i punti più rilevanti. Quasi contemporaneamente Enrico Letta -sempre su incarico della Commissione– ha presentato al Consiglio europeo il “Rapporto sul Mercato unico”, uno studio elaborato in sette mesi di lavoro che disegna le prospettive e il futuro economico, commerciale e sociale dell’Unione.
Cosa dicono, in estrema sintesi, questi due rapporti?
Pur trattando questioni diverse, i due studi convergono -con estrema chiarezza- sulla necessità, assoluta ed urgente, che l’Unione Europea pensi ed agisca unitariamente in termini continentali se vuole sopravvivere e svilupparsi “in un mondo in cui i nostri rivali controllano molte delle risorse di cui abbiamo bisogno”. Draghi evidenzia che le modalità attuali di funzionamento della UE sono state progettate “per ‘il mondo di ieri’: pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in Medio Oriente, prima del ritorno della rivalità tra grandi potenze” e sono ormai inefficaci nel mondo attuale. Abbiamo -precisa Draghi- per troppo tempo coltivato una competitività “interna”, cercando cioè “di migliorare la nostra posizione relativa rispetto agli altri e acquisire la loro quota di crescita. Abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale”.
Gli fa eco il rapporto di Letta quando afferma che l’Europa non può più fare a meno di un mercato finanziario unico che centralizzi tutte le emissioni di obbligazioni Ue convogliando i risparmi dei comuni cittadini nel finanziamento dell’economia reale.
Insomma se noi europei vogliamo poter essere interattivi nella economia e nella società del mondo globale e non solo facili prede perché troppo piccoli rispetto ai grandi soggetti (Cina, USA, India, ecc.), dobbiamo -in termini di approccio- smetterla di pensare in termini nazionali e locali per ragionare con un respiro continentale.
Si tratta dunque di superare definitivamente la sciocca e miope mentalità del “padroni a casa nostra”, diventando consapevoli che l’unico modo per non restarci in trappola dentro “casa nostra”, è proprio quello di considerare nostra una casa più grande. Nulla di nuovo sotto al sole: un paio di secoli fa doveva apparire folle ai cittadini del Granducato di Toscana l’idea di condividere la propria storia con quelli del Lombardo-Veneto e incredibile per i sudditi dello Stato Pontificio “mescolare” i propri interessi a quelli del Regno delle due Sicilie… ma se la storia non fosse poi andata proprio nella direzione considerata allora più improbabile… non saremmo qui oggi a difendere la nostra “italianità”, magari obbligando astutamente i ristoranti ad inserire nei menu l’eccellenza dei nostri formaggi “nazionali”!
Mi ha fatto riflettere la conclusione dell’intervento di Mario Draghi: “Ripristinare la nostra competitività non è qualcosa che possiamo raggiungere da soli, o solo battendoci a vicenda. Ci impone di agire come Unione europea in un modo mai fatto prima. Abbiamo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri – una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i padri fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio“. La storia non si ferma e quelle che oggi ci sembrano frontiere invalicabili forse i nostri nipoti le considereranno solo la siepe del giardino, a meno che non vogliamo ostinarci a costruire barriere pur di sentirci “padroni a casa nostra”… proprio qui, nel Granducato di Toscana che tutto il mondo ci invidia.