Non è neanche una questione di metodo, è una questione di maturità. Anche un bambino sa battere i piedi e dire no, un adulto dovrebbe invece sapere che -quasi sempre- la realtà se ne frega dei tuoi no e che i problemi non si risolvono evitandoli, ma solo affrontandoli e attraversandoli.

I problemi sociali non fanno eccezione e i diversi modi di approcciarli si allineano di solito su due opposti paradigmi: quello che cerca di includere le persone di cui si prende cura nelle dinamiche sociali e quello che tende ad eliminare i soggetti non compatibili con i propri percorsi ed obiettivi. Come è noto, includere è sempre più difficile e faticoso; eliminare appare invece più facile e spicciativo (che poi sia effettivamente possibile ed efficace è tutto da dimostrare). Per non restare in astratto ho scelto -a titolo di esempio- due ambiti problematici (uno di natura sanitaria e uno di sicurezza pubblica) rispetto ai quali si polarizzano visibilmente i due opposti paradigmi dell’includere e dell’eliminare.

– Il recente centenario della nascita di Franco Basaglia, psichiatra ispiratore della famosa “Legge 180” (1978) che superava la logica manicomiale riconoscendo i diritti e la necessità di una vita di qualità dei pazienti, ha riportato attenzioni e polemiche sul tema del disagio mentale. Appare evidente -nelle intenzioni e nella struttura della legge- l’approccio di tipo “includente”: diametralmente opposto al nascondere le persone da qualche parte “buttando via la chiave”. La legge non fu -ovviamente- la soluzione di ogni problema, non sempre le strutture territoriali di supporto hanno funzionato come avrebbero dovuto e, in molti casi, ci si è illusi che la nuova logica costituisse un traguardo ormai acquisito invece di considerarla solo una tappa importante del cammino. Questa estate Fratelli d’Italia ha presentato un disegno di legge che rovescia radicalmente l’impianto della legge 180, a proposito del quale Giovanna Del Giudice, presidente della Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo, afferma: «ripropone l’equivalenza tra malattia mentale e pericolosità sociale, chiamando di nuovo in campo per la gestione delle persone con sofferenza mentale i ministeri dell’Interno e della Giustizia. Al centro non è più la persona ma la sua malattia, con una prevalenza dei luoghi di contenzione su quelli del recupero. Il matto non viene più salvato dal suo destino di emarginato. D’altra parte questo è lo stesso paradigma culturale che innerva le politiche della destra sui migranti: il diverso è un nemico da cui difendersi erigendo muri e fili spinati».

– A Napoli, la scorsa settimana, un 17enne ha sparato -uccidendolo- ad un 19enne incensurato, al culmine di una lite tra gruppi di ragazzi per futili motivi. L’uccisore avrebbe dei problemi di carattere psichiatrico ed è stato -in passato- giudicato capace di intendere e di volere solo in parte. L’episodio si inscrive -tra molti altri- nel fenomeno in crescita di “gang” che rendono incontrollabile il territorio. Anche in questo caso la reazione di molti è stata quella -semplicistica- dell’approccio escludente: “rinchiudetelo e buttate via la chiave”. Ancora una volta emerge l’illusione che basti rimuovere l’elemento sgradito perché scompaiano magicamente anche le cause che lo hanno prodotto: è la tentazione della scorciatoia apparentemente risolutiva, che soddisfa la pancia e fa guadagnare consensi senza risolvere alcunché.

La rinascita tumultuosa del paradigma che privilegia l’eliminare sull’includere, non riguarda -purtroppo- solo ambiti circoscritti come quelli degli esempi riportati, ma sembra affermarsi brillantemente anche in contesti più generali a livello nazionale e internazionale. E’ la logica di chi ritiene di poter risolvere i conflitti economici e politici distruggendo -anche fisicamente- l’avversario, di poter generare o fermare guerre “in un solo giorno”, annettersi impunemente territori, deportare milioni di persone sgradite, sovvertire e controllare i meccanismi istituzionali che garantiscono gli equilibri democratici…, è la logica -elettoralmente vincente- di quel potere carismatico in cui milioni di elettori finalmente si riconoscono e grazie al quale si sentono liberati, senza più temere alcuno stigma.

Nulla di nuovo sotto il sole: torna a vincere il bambino che batte i piedi e dice no, l’illusione che i problemi si risolvano con la forza e che -quindi- chi è più forte ha “evidentemente” ragione.

Gli illusionisti possono essere affascinanti ed ipnotici, il problema è il risveglio.