“In una relazione complicata” è l’espressione spesso utilizzata nei profili social per definire la propria situazione sentimentale: una definizione che mi sembra si adatti perfettamente a descrivere il rapporto tra verità e ricerca del consenso in politica.
La politica, per sua natura, si muove nel campo di tensione tra la verità delle situazioni reali e la necessità di conquistare il favore degli elettori, ma queste due dimensioni spesso non coincidono affatto: ciò che è vero non è necessariamente popolare, e ciò che è popolare non è sempre vero. A complicare le cose ci si mette anche la retorica con cui ciascuna parte cerca di screditare la rappresentazione della realtà della parte avversa (“vi hanno raccontato che…, ma la verità è che…”): screditare la narrazione altrui sembra ormai diventato molto più importante che accreditare la propria!
Di solito, per avvalorare la propria lettura della realtà si usa citare i famosi “numeri” (“…i numeri parlano chiaro!” si dice), ma non è sempre vero che i numeri parlano chiaro: dipende da quali numeri scegli e quali ometti, da quali numeri metti a confronto e su quali confronti preferisci glissare, dall’affermare un dato (dando per evidente che sia scandalosamente alto o scandalosamente basso) senza fornire alcuna scala di riferimento che permetta di decifrarlo. Se ci chiediamo -ad esempio- se l’occupazione è davvero in crescita o no, se l’immigrazione sta aumentando o diminuendo, se gli incidenti sul lavoro sono più o meno di dieci anni fa, ecc., non troveremo mai una risposta univoca: dipende da quali numeri scegliamo. Consideriamo “occupati” solo i dipendenti o anche gli autonomi, solo quelli a tempo pieno o anche i part-time? Prendiamo solo gli immigrati “regolari” o anche gli irregolari e i richiedenti asilo? Consideriamo “sul lavoro” anche gli incidenti in itinere o solo quelli avvenuti durante il lavoro?… ovviamente ognuno sceglierà i “numeri” che sostengono la propria narrazione e quindi aumenteranno il consenso per la propria parte.
Qual è allora la verità “vera”? O meglio, quale narrazione saremo più propensi ad accettare come “credibile”? Quella -ovviamente- che ci propone la “nostra” parte, rafforzando così il nostro consenso… ed ecco che non sarà la “verità” dei fatti ad orientare il consenso, ma piuttosto il consenso a definire la verità. Eh sì, verità e consenso -soprattutto in politica- sono certamente “in una relazione complicata”!
Un messaggio politico modellato sull’altare della persuasione ha bisogno di privilegiare messaggi semplificati e slogan in sintonia con le paure, i desideri e le speranze degli elettori; purtroppo in questo modo diventano inevitabili distorsioni, omissioni ed esagerazioni e alla fine l’intero dibattito politico rischia di perdere credibilità.
La difficile sfida è trovare un equilibrio -il più possibile onesto- costruendo messaggi che siano insieme veritieri e capaci di creare coinvolgimento, con la consapevolezza che una democrazia sana richiede non solo consenso, ma anche trasparenza e responsabilità. Del resto questo non vale solo in politica: le “relazioni complicate” esistono nella vita di tutti, ma per restituire loro credibilità non basta accontentarsi della definizione, è necessario renderle meno complicate accettando la realtà come è, senza cedere alla tentazione di camuffarla continuamente per costruire consensi fittizi che prima o poi con la realtà dovranno fare i conti.