Il 3 gennaio 1925, cento anni fa, Mussolini tenne il famoso discorso alla Camera dei deputati nel quale -affrontando direttamente le critiche ricevute dopo l’omicidio di Matteotti- rivendicò il pieno controllo sull’Italia e assunse su di sé la responsabilità̀ politica di quanto avvenuto: «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento fino ad oggi», affermò perentorio. Per quanto il contenuto del discorso sia sconvolgente -soprattutto alla luce di come sarebbe stato declinato dei venti anni successivi- è difficile non riconoscergli la coerenza tra parole e fatti e il coraggio di assumersi la responsabilità senza giri di parole, senza nascondersi dietro cavilli legali e senza scaricare la colpa su altri.

Come il governo attuale consideri la questione “migranti” è chiarissimo a tutti: il fenomeno migratorio è una iattura da contrastare con qualsiasi mezzo; una vision -questa- centrale nel programma politico di questa coalizione e in larga misura determinante per il suo successo elettorale.

Se dunque le migrazioni sono apertamente considerate da questo governo un fatto pericoloso da arginare, ostacolare e prevenire in tutti i modi possibili, c’è da stupirsi se chi governa metta in atto il suo programma? C’è da stupirsi se utilizza accordi con i paesi di provenienza e di transito o ne stipuli di nuovi ancora più stringenti? C’è da stupirsi se di fronte a una tragedia come quella di Cutro (94 morti!) la risposta del governo sia stata un decreto legge che, dietro la retorica della lotta al traffico di esseri umani, ha ristretto lo spazio di protezione e ha smantellato l’istituto della protezione speciale, gettando in uno stato di irregolarità molte persone da tempo in Italia?

C’è da stupirsi se il governo predilige fermare le partenze delle persone migranti tramite accordi di esternalizzazione con paesi terzi, come Libia e Tunisia, in cui sono note situazioni di gravi violazioni, e ostacolare in tutti i modi le Ong impegnate in azioni di ricerca e soccorso? E’ forse un segreto che gli accordi firmati e finanziati con Libia e Tunisia servono a bloccare [non vogliamo sapere come!] le persone in transito in quei paesi impedendo loro di raggiungere il nostro paese (anzi la nostra nazione)?

E allora che bisogno c’è di invocare tortuosi cavilli giuridici o accampare scuse ridicole per giustificare la scarcerazione e il riaccompagnamento di Al Masri in Libia? Non sarebbe più dignitoso –con coerenza e coraggio– riaffermare in parlamento le proprie convinzioni e vantare con orgoglio l’aver riportato Al Masri al suo “lavoro”, quello cioè di garantirci la limitazione degli arrivi? Perché non rivendicare piuttosto la responsabilità e il merito dell’operazione gestita così efficacemente per la “sicurezza” del paese (anzi della nazione)?

Siamo in molti (almeno spero) a non condividere l’interpretazione del fenomeno migratorio che contraddistingue questo governo. Siamo in molti a non considerare pregiudizialmente pericolose le persone che cercano di raggiungere il nostro paese per viverci (o anche -spesso- solo per transitarvi): non possiamo, né vogliamo, ignorare le ragioni che le spingono a fuggire da guerre e persecuzioni o a cercare di migliorare la loro condizione di vita creando prospettive per i loro figli. Siamo in molti a pensarla così, ma non siamo così ingenui da non capire quanto sia difficile trovare un approccio corretto a un problema così complesso.

Non crediamo affatto che sia sufficiente allargare le braccia e accogliere irenicamente tutti: siamo di fronte ad un fenomeno strutturale di dimensioni enormi che può essere affrontato efficacemente solo concordando con gli altri paesi europei politiche che disegnino criteri e modalità operative economicamente sostenibili, oltre -ovviamente- a cooperare efficacemente nei paesi di provenienza incidendo sulle cause che provocano le migrazioni stesse. Certo -lo sappiamo bene- è complicato, faticoso e spinoso coniugare le necessità e i diritti delle persone con le regole internazionali, ma di certo la scorciatoia non può essere assoldare killer “preventivi” nei paesi di transito, lasciar affogare le persone nel Mediterraneo e rinchiudere i sopravvissuti nei CPR-lager o trasferirli in Albania…

Nessun filo spinato o muro di cemento hanno mai dato risposte efficaci a problemi che -per essere risolti- hanno bisogno di un punto di compromesso condiviso e sostenibile: i fili spinati e i muri di cemento hanno fallito ad Auschwitz, hanno fallito a Berlino, non funzioneranno in Messico (e neppure in Albania).