Troppo spesso l?atteggiamento comune nei confronti del mondo della Chiesa e del clero, sembra doversi forzatamente concludere nella più classica e capziosa delle logiche: o ?con? o ? contro?, evitando qualsiasi più ampia e complessa riflessione relativa al rapporto tra clero e società.
Decidere di leggere il bel libro di Bianca Stancanelli (?A testa alta?, Ed. Einaudi) puo? in questo senso aiutare ad appropriarsi di un nuovo modo di valutare l?operato e il ruolo del clero all?interno della società civile; significa ? peraltro ? conoscere la straordinaria storia di un uomo, un prete, capace di vivere e attuare il proprio mandato e la propria vocazione in modo naturale, umile ma fermo ( e perciò rivoluzionario) in una zona difficile quale il quartiere Brancaccio di Palermo, città-simbolo in questi ultimi quindici anni di problematiche, drammi ma anche di forte speranza.
Fedele alla propria formazione di giornalista e di una tradizione eccellente in questo tipo di scrittura (basterebbe citare in questo senso Il giudice ragazzino di Nando Dalla Chiesa), Bianca Stancanelli gioca mirabilmente tra cronaca dei fatti e approfondimento dei protagonisti di questa vicenda e dei sentimenti, delle emozioni ad essa collegata.
Ecco dunque l?arrivo in silenzio e semplicità di Padre Giuseppe Puglisi, don Pino (o meglio tre PPP come ama firmarsi), in un quartiere ai limiti del far west, della terra di confine; eccolo, lentamente, quasi timidamente, muovere i primi passi tra le strade dissestate di Brancaccio, tra i palazzi abusivi ed il degrado di una zona che le istituzioni ? politiche ma anche ecclesiali ? sembrano aver consapevolmente dimenticato, estromesso al di là di un passaggio a livello, simbolo di un confine che sa di ghettizzazione e oblio. Il libro si snoda velocemente, come veloci devono essere stati quegli anni fatti di entusiasmo , di atti coraggiosi al limite dell?incoscienza, di delusioni ed amarezze, ma anche caratterizzati da legami di forte collaborazione e condivisione.
Intorno, o se si preferisce, alle spalle aleggia la Storia, quella delle cronache sui giornali, dei processi di mafia, delle stragi di Capaci, del sacrificio di uomini come Falcone, Borsellino e Livatino, dell?assenza dello Stato, dello stupore e della paura di una comunità attonita di fronte ad una nuova e terribile ondata di crudeltà.
Da questo quadro di apparente desolazione e sfiducia, ancora più sconcertante appare l?esperienza di Padre Puglisi e degli uomini, delle donne, dei giovani intorno a lui, ancora oggi commossi nel ricordare con nostalgia, dolore ma anche di speranza per un mondo migliore, un periodo così importante nella storia di Brancaccio, e di fatto dell?Italia.
Padre Puglisi muore il 15 settembre 1993, all?ora di cena, guardando in faccia al suo assassino, un ventottenne ? uno dei tanti ? arruolato dalla mafia; Padre Puglisi muore restituendoci gli aspetti più veri e importanti del ruolo di un prete oggi, uomo di fede e di carità tra la gente e con la gente, capace di intervenire all?interno di una realtà così complessa e carica di implicazioni quale è la società di oggi.
Padre Puglisi muore, ma risuonano forti, decise le sue parole, inequivocabile conferma del cuore del messaggio cristiano, quell??Ama il prossimo tuo come te stesso? che sempre rimane – al di là delle facili invettive e delle strumentali crociate ? l?unico vero criterio per cambiare, migliorare una società, combattendo aspramente il peccato ma sapendo, con lo stesso coraggio, perdonare il peccatore.
Perché a Brancaccio non siano solo i mafiosi a camminare sfacciatamente e con spavalderia per le strade del quartiere, ma anche gli uomini, le donne, le famiglie oneste, con tranquillità e sicurezza; così, a testa alta.