Aicha Mesrar è la prima musulmana a diventare consigliere comunale in Trentino. Vive a Rovereto da vent’anni, sposata con due figli. In aula continuerà a portare il velo: “Se me lo dovessero impedire darei le dimissioni”.

Il marito l’ha incoraggiata: «Buttati, credo in te». Il figlio più piccolo vuole scrivere un libro su di lei. E la gente la ferma: «Complimenti, sei stata bravissima». Aicha Mesrar, senza volerlo, è diventata l’emblema di un’integrazione difficile ma possibile. E un caso: è la prima musulmana a diventare consigliera comunale in Trentino. E forse anche in Italia. Giovedì a palazzo Podestà andrà con il velo: «Se me lo impedissero? Darei le dimissioni».

Minuta, semplice ma coriacea, Aicha porta avanti l’idea di un’integrazione che consenta di non perdere la propria identità: «Le mie radici sono arabe. Quindi al velo non rinuncio, perché nell’Islam è una preghiera e un atto di sottomissione a Dio».
Originaria di Casablanca, vive a Rovereto da vent’anni. Qui ha conosciuto il marito, sposato nel 1994, e qui ha messo al mondo i suoi due figli di 11 e 14 anni («niente nomi, la mia vita privata è sacra»), scegliendo il Trentino come terra di adozione. Oggi lavora come mediatrice culturale al commissariato di Rovereto e vive nelle case Itea di via Trento, dove ci riceve: grande divano, tappeto su cui è rigoroso togliersi le scarpe, té alla menta fumante. È vestita con foulard bianco, vestito lungo, maglia nera. Molto diversa da Souad Sbai, parlamentare del Pdl, pure marocchina ma con mise occidentali.

Una donna araba entra per la prima volta in Consiglio. Emozionata?
Sono tranquilla. Mi piace però pensare che la mia elezione possa essere un segnale per le seconde generazioni. Un segnale per chi è deluso, per chi fa fatica e per i ragazzi, perché non mollino e possano sperare in un futuro migliore rispetto a quello dei genitori. Quanto a me, vorrei solo che in Consiglio non mi vedessero diversa.

Si riferisce al leghista Willy Angeli? In campagna elettorale ha annunciato di parlare dialetto in caso di sua elezione.

Non mi ha toccato quello che ha detto. E lo saluterò cordialmente: non lo giudico, perché non lo conosco. Vorrei però che neanche gli altri giudicassero me. Da noi c’è un detto: «Chi frequenta un popolo per 40 giorni, diventa come lui». Io sono qui da vent’anni. Rovereto mi ha dato tante cose, ma tante credo di averle date anch’io.

Però la diffidenza verso gli immigrati permane. Soprattutto musulmani. La Lega dice che voi non volete integrarvi, apprendere la lingua e gli usi locali.

L’integrazione non è assimilazione. Io conosco l’italiano e capisco il dialetto, ma la mia identità è arabo musulmana. È su questo che poggia la mia stabilità. Integrazione è interscambio tra due culture, convivenza e rispetto dell’altro».


Ci sono margini difficile da colmare. Le donne islamiche, ad esempio, sottomesse al maschio padrone.

Le donne, nell’Islam, sono compagne degli uomini cui devono rispetto, ma devono essere trattate come il cristallo. Non usate per il corpo, ma per la mente.


Ci sono figlie sgozzate dal padre e donne massacrate perché senza velo.

E in Italia non ci sono padri che ammazzano i figli? Solo che i casi di immigrati finiscono per avere più risalto.


Se capitasse che suo figlio un giorno si fidanzasse con una trentina e diventasse cattolico, come reagirebbe?

Tutto è possibile. Ma dedicando tempo ai figli, per trasmettere loro la cultura di origine, si evitano sorprese e conflitti generazionali.


In molti Comuni c’è conflitto per le moschee. Voi ne vorreste una?

Noi abbiamo un luogo di preghiera alle Cartiere. Credo che sarebbe bello avere un posto più grande, dove creare un centro culturale in cui insegnare l’arabo e far conoscere le tradizioni nostre anche ai roveretani.


Tanti hanno pensato che le venisse data la delega all’integrazione.

Non la vorrei. A lungo ho rifiutato di candidarmi perché non volevo diventare una specie di “quota rosa”, da tutelare. Io in Consiglio voglio rappresentare le donne che hanno famiglia, che lavorano, che hanno fatto sacrifici per cambiare e migliorare. Voglio parlare di città, della mia città.