Abdul Rahman, cittadino afgano, è sotto processo nel suo paese e rischia la pena capitale per il reato di apostasia. Difatti la sharia, la legge coranica, prevede che un musulmano che abiura la propria religione è punibile con la pena di morte, cosa tra l?altro confermata in Afghanistan anche dalla legislazione stessa dello stato.
La storia di Abdul parte da lontano. Vissuto per molti anni all?estero come medico, si è convertito 16 anni fa al cristianesimo mentre lavorava con una organizzazione cristiana in Pakistan per aiutare i profughi provenienti dall?Afghanistan invasa dai sovietici. Finita l?emergenza si è trasferito a vivere e a lavorare in Germania. Nel 2002, dopo il crollo del regime dei talebani, è rientrato nel suo paese con la famiglia. E solo pochi mesi fa, per problemi personali, si è separato dalla moglie. È stato poi arrestato dalle autorità locali, circa un mese fa, perché trovato in possesso di una bibbia, reato gravissimo per un musulmano, che è stata rinvenuta in casa sua a seguito di una perquisizione effettuata dopo una denuncia circostanziata da parte della sua ex-moglie, con la quale è in lite per l?affidamento dei due figli. Abdul, dopo l?arresto, ha sinceramente ammesso ai giudici di essersi convertito al cristianesimo nel 1990, perfettamente consapevole dell?accusa di apostasia a cui andava incontro.
Adesso Abdul il cristiano ha solo tre possibilità oltre a quella di perire giustiziato o di usufruire di una remota grazia da parte dell?attuale presidente dell?Afghanistan Hamid Karzai, e sono: abiurare il cristianesimo per poi riconvertirsi pentito alla fede islamica; appellarsi alla giurisprudenza egiziana che prevede il perdono per gli abiuri che dichiarano di non voler combattere l?Islam, ma purtroppo nella legislazione afgana questa possibilità non è ancora contemplata; essere dichiarato mentalmente inabile. Ma qualsiasi strada decida di percorrere Abdul in tribunale, per se stesso e per una giovane democrazia come quella afgana, dove si sta ancora cercando di recepire le regole di libertà occidentali adattandole alle tradizioni locali e ad una visione del mondo ancora fortemente religiosa, sarà comunque una severa sconfitta.
L?Afghanistan è uno stato che sarebbe dovuto cambiare dopo la guerra. Una guerra voluta essenzialmente dagli americani per eliminare una delle fonti primarie del terrorismo internazionale e per riuscire a stabilizzare attraverso la democrazia un paese martoriato da anni di invasioni e guerre civili. Ma il paese fondamentalmente non è cambiato: i talebani continuano ad essere presenti e pericolosi in alcune sacche all?interno del paese e premono seriamente dai confini del Pakistan; Bin Laden non è stato ancora catturato e il suo entourage continua ciclicamente a diffondere minacce verso l?occidente compresi i ministri della nostra repubblica; il maggiore reddito del paese proviene ancora dalla massiccia produzione ed esportazione di oppio, l?87% del mercato mondiale è coperto dall?oppio afgano; le donne continuano ancora ad usare il famoso burqa, simbolo mediatico della repressione femminile in Afghanistan durante la guerra.
Immaginatevi solo se anche il cristianesimo prevedesse che l?apostasia venisse punita con la pena di morte, solo nella storia più recente sarebbero stati giustiziati personaggi come: Mhoamed Ali, Cat Stevens, Tom Cruise ed anche il nostro Roberto Baggio, solo per citarne alcuni, tutti liberamente convertitisi ad un’altra fede. Ma quella di Abdul il cristiano, è una vicenda di altro spessore, è la storia della negazione della libertà dell?uomo e della sua fede. È la storia di un possibile martire del XXI° secolo, vittima solo dell?arretratezza e meschinità con cui noi uomini osiamo paragonarci a Dio.