Come in altre analoghe occasioni, la morte di una persona -in questo caso quella di David Sassoli- ha creato le condizioni per capirla meglio. E’ un po’ come se avessimo sempre bisogno di aspettare la fine per apprezzarla compiutamente o semplicemente per riuscire a “ritagliare” il contorno di chi non c’è più nell’affollato scenario della quotidianità.

In un interessante articolo (QUI) di venerdì scorso, Giacomo Papi rileva che quando muore qualcuno di famoso tutti sentono il bisogno di postare foto o frasi, o più spesso un ricordo di sé, in un “rituale che accompagna i morti famosi, le esequie laiche e digitali che servono a suggerire una prossimità che spesso non c’è mai stata e un’appartenenza che nessuno ci aveva chiesto di dichiarare. È un rito innocente, che non merita scherno, per quanto spudorato sia. E’ un istinto che rivela molto sul potere dei morti di creare nazioni, tradizioni, bolle e tribù, cioè di fare sentire ai vivi di appartenere a qualcosa. Le vite dei santi e degli eroi sono sempre servite a questo, in fondo.

In realtà -anche prima dei social- la morte di una persona ha sempre costituito per i vivi che la ricordano una preziosa occasione per riflettere su se stessi e la propria vita, per ridimensionare la gravità degli affanni, per concedere a chi è morto il rispetto dovuto e, almeno per un istante, il privilegio dell’unicità. Un privilegio che spetta a tutti perché tutti siamo unici, tutti abbiamo una storia unica che ci ha fatto diventare quello che siamo. Nessuno di noi ha fatto e detto solo cose buone e nessuno ha fatto e detto solo cose cattive e le storie di ciascuno si intrecciano con quelle degli altri in modo così indecifrabile che neppure noi stessi -che le abbiamo vissute e le stiamo vivendo- saremmo in grado di indicare con certezza quanto sia dipeso dalla nostra volontà e capacità, quanto abbiamo dovuto accettare nostro malgrado e quanto sia accaduto solo per il concorso di casualità imprevedibili. Per questo è insensato e sostanzialmente ingiusto dare sommari giudizi sulle persone anziché limitarci -questo sì che è possibile- ad esprimere il nostro giudizio su singole scelte e singole circostanze. E’ il senso che dobbiamo cogliere, la direzione positiva quando affiora: non siamo i giudici delle esistenze altrui, siamo solo compagni di viaggio.

Ovviamente quando -ed è certamente questo il caso di David Sassoli- la qualità di una persona ha lasciato un segno profondo e positivo nella società in cui è vissuta è più facile apprezzarne i pregi e indicarla come testimone credibile dei valori che l’hanno guidata rafforzando così il senso di appartenenza a quei medesimi valori. Dovremmo tuttavia essere capaci di apprezzare i pregi e riconoscere le testimonianze credibili dei valori anche nelle vite di persone che non sono famose e non lo saranno mai, anche tra coloro che conosciamo personalmente e di cui ci sono noti i limiti e -soprattutto- anche senza aspettare che muoiano.