Una interessante riflessione di Claudio Cerasa mette a fuoco la centralità e l’importanza strategica di una antica virtù oggi più preziosa che mai: la pazienza. Antica, dicevo, perché ha un suono anziano, di voce di vecchia saggia di paese: “porta pazienza…”, quasi un invito alla rassegnazione. E invece no, tutto il contrario, non è un sonnifero, è un antidoto! E’ la capacità di prenderci il tempo di capire, è l’antidoto allo streaming tumultuoso e inconsulto, alla velocità come valore primario che declassa tutti gli altri.

Se saremo capaci di accoglierlo, la pazienza potrebbe essere uno dei doni positivi che -malgrado tutto- ci lascia in eredità la pandemia. Scrive Cerasa: “Il mondo pre-pandemico è stato abituato alla cultura dell’impazienza (pensate solo alla reazione dei nostri figli per un acquisto che non arriva a casa il giorno stesso, per un buffering di troppo su Netflix, per una connessione che non funziona come dovrebbe sui tablet o per essere costretti a interrompere un film a causa della presenza di una pubblicità) eppure, accanto alla rivoluzione in tempo reale dell’economia, ce n’è un’altra che ci è stata imposta dai tempi lunghi della pandemia e quella rivoluzione coincide con la pazienza. Non si può affrontare la pandemia senza avere pazienza. Non si può giudicare una variante senza avere pazienza. Non si può governare un’ondata senza avere pazienza. Non si può approvare un vaccino senza avere pazienza.” (Il Foglio 06/12/21)

La pazienza viene da lontano e ha lo sguardo lungo. E’ il segreto dell’apprendere in modo non superficiale, è la radice del resistere alla tentazione di rispondere a caldo, il trucco per non sprecare tempo ed energie reagendo a tutti gli stimoli che riceviamo imparando piuttosto a selezionare solo quelli che meritano una reazione (anche perché la maggior parte si autodistrugge senza lasciare traccia).

Forse, più che una virtù, la pazienza è una cultura, cioè un modo di porsi davanti al mondo e agli eventi, dandosi il tempo di ascoltare, dialogare e agire consapevolmente. Se dovessi definire plasticamente la pazienza la definirei un luogo  “concavo”, fatto per accogliere e raccogliere, lasciar depositare anziché respingere emozionalmente.

La cultura della pazienza e della riflessione critica costituisce anche -non a caso- il clima più favorevole alla maturazione democratica:  “La nostra democrazia – ha detto Angela Merkel nel suo discorso di commiato da cancelliera – prospera sulla capacità di esaminare criticamente e correggersi. Vive del costante equilibrio degli interessi e del rispetto reciproco. Vive di solidarietà e fiducia. La nostra democrazia prospera anche sul fatto che laddove l’odio e la violenza sono considerati un mezzo legittimo per affermare i propri interessi, la nostra tolleranza come democratici deve trovare sempre un suo limite”. E no, non si può fare in un tweet!

Decisamente, dunque, la pazienza non è una polverosa virtù da eremiti o un lusso da bradipi: è il modo efficace di filtrare parole ed eventi, elaborarli e reagire con maggiore consapevolezza o -se vi sembra troppo lungo- come diceva Sant’Agostino: “la pazienza è la compagna della saggezza”.