La fatica di festeggiare
La crescente tensione e preoccupazione per il futuro ha ormai contagiato tutti gli ambiti. L’offerta è molto ampia: crisi climatica come un conto alla rovescia inarrestabile, approvvigionamento energetico esposto al capriccio dell’emiro o del tiranno di turno, immigrazione tragicamente vissuta come invasione, fragilità degli equilibri internazionali, incertezza economica, futuro lavorativo dei nostri figli e nipoti sempre più confuso... Il dramma è che, oltre all’offerta, sembra incredibilmente essere molto alta anche la domanda: quasi che tutte queste incertezze la gente le cerchi, le amplifichi e trovi in esse -nella loro apparente ineluttabilità- l’alibi per giustificare il ripiegamento su se stessa, giudicando ormai inutile cercare insieme di trovare soluzioni o almeno di affrontarle in modo condiviso. E, se tutto questo non bastasse, c’è ora il clangore della guerra che sembra farsi ogni giorno più vicina, ogni dichiarazione più minacciosa, ogni telegiornale più cruenta. Chi -in questo clima- riesce ancora a festeggiare? Cosa c’è da festeggiare? Non è solo faticoso, sembra quasi una cosa fuori posto. Eppure...
ASCOLTA L'ARTICOLO QUI Quando andavamo alle elementari i primi giorni di novembre erano molto attesi dagli scolari perché il grappolo di giorni festivi (1, 2 e 4 novembre) costituiva la prima sensibile pausa nell’anno scolastico, quasi un assaggio delle feste natalizie per le quali occorreva attendere ancora un paio di mesi. Si tratta di [...]