Noi poveri cittadini italiani, come greci, spagnoli, irlandesi, portoghesi, sempre meno cittadini e sempre più sudditi di poteri e sovranità, “altre”, senza volto,   impercettibili, indefinibili, lontane, che determinano la nostra vita, la modificano – negli obiettivi, nella qualità, nelle aspettative – come se un grande burattinaio muovesse dei fili lunghi chilometri e noi, povere marionette, rispondessimo ai comandi su un palcoscenico lontano, senza riuscire a vedere in faccia il burattinaio che ci muove.

E’ la perdita della sovranità che il Censis ha delineato in questo Mese di Sociale 2012, conclusosi ieri alla presenza di illustri ospiti come Giuliano Amato, Mario Sarcinelli, e giornalisti di grido come Giuliano Ferrara e Massimo Franco. La presenza del prof.  Pedone ha portato quel contributo “tecnico”,  che oggi –sembra- non può mancare ad ogni livello.

Il quadro delineato da De Rita e Roma non è certo roseo. La crisi della sovranità in Italia  è un fatto consolidato, una perdita di potere, di credibilità, di reputazione a tutti i livelli, che minaccia anche le micro sovranità: la famiglia e le imprese, i motori portanti del tessuto sociale nostrano. Se l’Italia regge ancora e non corre i rischi di alcuni Paesi limitrofi dell’area mediterranea è sempre grazie al senso di patrimonializzazione delle famiglie-formichine italiane, che negli anni non hanno fatto le cicale, ma hanno raccolto, messo da parte, investito, almeno nelle loro abitazioni, e merito    anche   del nostro tessuto imprenditoriale diffuso, della piccola/media impresa, che rappresenta il cuore sofferente, ma ancora pulsante, del nostro substrato economico.

Ma la crisi della sovranità, sostituita ora con la sovranità dello spread, dei “mercati”, della finanza, comporta – con la perdita di riferimenti legati al principio di “autorità” – sbandamenti sociali, una litigiosità diffusa ed errante, un “antagonismo erratico”, che di volta in volta si coagula su parziali obiettivi: l’immigrato, la politica, l’art. 18, lo scontrino fiscale, Equitalia, l’ IMU, ecc delineando una fragilità nella protesta (anche la protesta ha perso di sovranità, così come il sindacato) che non riesce a sollevarsi a sistema.

Le vie d’uscita posso essere tre:

di sistema, che per gli “alti” obiettivi planetari, comporta rispose a lungo termine e di non immediato beneficio

regolative, che dovrebbero partire da un rafforzamento delle Istituzioni Europee, da quelle politiche a quelle monetarie e fiscali, che però scontano un clima di diffuso egoismo nazionale, almeno da parte della nazione traino, la Germania

partecipative, che dovrebbero passare da un più ampio consenso istituzionale dal basso, una “convergenza delle opinioni pubbliche europee, dei cittadini e delle loro rappresentanze”, che al momento nessuno promuove o è impegnato a costruire per un generale senso di sfiducia e antipolitica..

Considerato l’arduo cammino delle tre vie d’uscita proposte dal Censis, non resta allora che rimboccarsi le maniche e andare all’origine della perdita della sovranità, vale a dire dobbiamo liberarci dal peso del debito. Il debito pubblico ci lascia “nudi” verso gli attacchi della speculazione finanziaria esterna e globale, il debito comprime altresì la crescita interna,  come dimostrano le numerose tabelle fornite a corredo dal Censis,   soprattutto quando il rapporto debito/PIL è superiore a quota 90%, figuriamoci quando il rapporto è oltre il 120%!

Parliamo di un debito generato all’interno dei nostri confini, tutto italiano, non imposto da nessuna entità sovranazionale esterna, cresciuto a dismisura dagli Settanta ai Novanta, che ha avuto anche benefici effetti sulla crescita del PIL nazionale e dell’occupazione, anche potendo avvalersi di strumenti di svalutazione pilotata (della lira, ora non più possibili con l’euro).  

Ma su come fare ora per arginare il debito, le ricette divergono. Sicuramente non è una ricetta la dismissione del patrimonio pubblico, vista e raccontata con una certa ironia dal prof Pedone e da Mario Sarcinelli, che hanno ricordato illustri tentativi non risolutivi o andati a vuoto a partire dall’Unità d’Italia, dal 1862 con Quintino Sella: tanto per dire dell’innovatività  del provvedimento! Forse da prestigiosi professori bocconiani ci si sarebbe aspettato di più. Per le ipotesi più credibili di dismissione attraverso la costituzione di fondi immobiliari i possibili ritorni non sarebbero compatibili con le urgenze del momento.

Giuliano Amato – ricordando antichi blitz notturni “di scopo” nei conti correnti degli italiani –  ha rilanciato la sua idea di patrimoniale, pur dichiarandola ormai fuori tempo massimo, perché soffocata dall’innalzamento della  tassazione corrente.  Idea che ha visto l’ immediata minacciosa e personale opposizione di Berlusconi (come da Giuliano Amato raccontato), ma anche la fredda accoglienza del PD (“Giuliano ci hai messo in grave imbarazzo con la tua idea”). Che era poi l’idea trasversale di tutte le persone di buon senso, non solo delle forze sociali. Così, a fronte di questa “paura della politica” a prendersi le proprie responsabilità,  il Censis ci racconta di un ceto medio italiano tuttora propenso a fare sacrifici finalizzati al bene comune: nonostante la crisi, l’IMU, l’art 18, lo spread ecc. Evidentemente sotto la cenere ancora un calore di senso dello Stato ci fa da collante, evidentemente ancora una volta c’è una discrasia tra la società civile e chi la rappresenta, o meglio, ed è un’ulteriore conferma: non siamo adeguatamente rappresentati.

Ci vuole pertanto il concorso hic et nunc di tutti i cittadini. E non a caso l’ultimo capitolo del Rapporto è intitolato: Ricostruire la politica dalla rappresentanza. Qui l’Italia si presenta più debole rispetto ai suoi competitor nella crisi (Spagna e Grecia) che possono almeno vantare di essersi dotati di un governo democraticamente eletto e dotato della sovranità necessaria per operare riforme (quand’anche imposte da altri). Rispetto ad altri tentativi di governo tecnico, quello attuale sconta un gap negativo nuovo, quello della crisi di sovranità, che dalla politica, la prima ad esserne corrosa, sta ora passando agli stessi “tecnici”, di cui si stanno mettendo progressivamente in dubbio le capacità. E’ un innalzamento del livello   dell’antagonismo erratico, che sta ora volgendo le sue attenzioni proprio verso il Governo Monti, fomentato da quelle stesse forze politiche che dovrebbero appoggiarlo (vedi le modalità di approvazione della legge Fornero sulla riforma del lavoro).

Tutte queste incertezze “tecniche” e “politiche” logoranti – a cui aggiungiamo la riduzione di privilegi, costi e numero dei  parlamentari mai con determinazione praticati, fino al ridicolo dell’ultima ora: la minaccia di  crisi di governo   in caso  di mancata possibilità di ferie in agosto – alimentano l’antipolitica e incattiviscono il qualunquismo dilagante, che della crisi della sovranità è l’espressione primordiale. Prima di parlare di antipolitica le forze politiche dovrebbero guardare i propri comportamenti. E’ inutile prendersela col Grillismo, altra espressione della crisi della sovranità, che ha messo l’ eterea sovranità virtuale della rete erroneamente al centro.

In definitiva occorre riassumersi le responsabilità, fare sintesi, riscoprire antichi valori, rompere le barriere, superare i confini (sociali, economici, ideologici), rivitalizzare  i rapporti interpersonali,  la famiglia, le relazioni col territorio, tra territori. Aspetti diversi di rinascita sociale/comportamentale che il Censis sintetizza in tre titoli:  la riscoperta di senso, il bisogno di prossimità, la voglia di rispetto.

Vigliaccamente la politica ha lasciato il campo ai tecnocrati, non ha voluto sporcarsi le mani: ora è giunto il tempo di riassumersi le responsabilità, ripensando gli antichi schieramenti, succhiando linfa dalla società civile:  è un dovere morale, è un obbligo democratico.