Egregio Direttore,

le scrivo con non poca fatica dopo aver letto diverse volte l’articolo di cui all’oggetto a firma di Paolo Berizzi che di certo non fa onore al suo giornale.  http://www.repubblica.it/cronaca/2011/04/29/news/inchiesta_italiana-15507476/index.html?ref=search

L’articolo contiene numerosi luoghi comuni, macroscopici errori, e accuse infamanti e gratuite a tutto il sistema delle accoglienze. Da ultimo l’articolo si chiude con 2 storie che nella loro povertà e tristezza vengono inserite solo per il gusto di generalizzare, esattamente il contrario di ciò che un buon giornalista dovrebbe fare.

Sono il rappresentante legale di una cooperativa di Roma che gestisce diversi servizi socio-assistenziali fra cui 4 case famiglia (3 per bambini ed una per gestanti o donne con bambini). La nostra realtà è stata avviata oltre 18 anni fa grazie alla disponibilità di una famiglia che ha deciso di aprire la propria casa all’accoglienza.

In questi 18 anni sono passati dalle strutture di accoglienza circa 120 bambini con una durata media di accoglienza di 1 anno e mezzo.

Come la nostra realtà conosco moltissime case-famiglia che ogni giorno lavorano sodo per garantire ai bambini ospiti un’accoglienza che sia il più vicino possibile a quella di una famiglia, nell’attesa che essi possano tornare nella loro famiglia d’origine, oppure andare in affidamento o in adozione.

Se il suo giornalista si fosse documentato meglio andando a visitare una delle tante case famiglia di Roma o d’Italia avrebbe potuto constatare di persona come funzionano queste case.

Nelle nostre case i bambini fanno una vita normale: vanno a scuola, all’uscita fanno attività sportiva o vanno agli scout, poi fanno i compiti, il bagnetto, la cena. Il sabato o la domenica si va a fare qualche gita, oppure ci si vede con i compagni di classe. A prendersi cura di loro ci sono persone che hanno deciso di dedicare la loro vita a questo compito. Alcune famiglie, alcune religiose o religiosi. Per molti è un lavoro: si chiamano educatori professionali. Al pari dei giornalisti hanno studiato per fare questo lavoro, ma lo studio non è sufficiente: è necessaria la passione, l’amore, l’impegno. Il tutto per 1.100,00 euro netti al mese. In molte cooperative a causa dei ritardi dei pagamenti delle rette da parte degli enti pubblici, non sempre è possibile pagare puntualmente gli stipendi ma gli educatori lavorano lo stesso !

Ovviamente i 1.100,00 euro al mese costituiscono per l’ente gestore solo la metà del costo del lavoro che è necessario sostenere. Il costo lordo aziendale annuale di un educatore professionale è di circa 28.000,00 euro. Per una casa famiglia di 6 bambini è necessario avere almeno 4 educatori turnanti che garantiscano la presenza costante durante tutta la settimana, il sabato, la domenica e la notte (quello che in famiglia fanno i genitori). Le spese del personale prevedono inoltre lo stipendio part-time di un responsabile (di solito Assistente sociale o Psicologo o Educatore con molta esperienza), le spese per la supervisione necessaria per tutti color che svolgono una relazione di aiuto così delicata. Oltre alle spese del personale ci sono le spese dell’affitto, del vitto, del vestiario, dello sport, le assicurazioni, le spese per i trasporti, le vacanze. Con la retta giornaliera di euro 69,75 che è prevista a Roma chi amministra le case famiglia deve coprire tutte le spese. Anche tutti questi dettagli sarebbe stato molto semplice acquisire per il suo giornalista se avesse fatto bene il suo lavoro. Sono a disposizione per inviarvi il materiale (si chiama piano economico-finanziario della struttura di accoglienza, che ogni struttura è tenuta ad inviare al Comune per ottenere l’autorizzazione al funzionamento): è previsto un controllo quindi da parte del Servizio sociale competente territoralmente, al contrario di quanto affermato nell’articolo.

Non si vuol qui affermare che il mondo delle case famiglia è tutto perfetto ma generalizzare in modo così superficiale e assolutamente poco informato è davvero deludente.

Altri errori macroscopici contenuti nell’articolo sono relativi ai numeri “sparati a caso” dal vostro giornalista: i minori accolti in comunità residenziali sono poco più di 15.000 e non 20.000 come affermato. Inoltre l’articolo lascia trasparire che quasi tutti sarebbero in attesa di adozione e ciò è assolutamente infondato. Le allego in proposito un report redatto dall’Istituto degli Innocenti che anche il suo giornalista avrebbe potuto reperire molto facilmente chiedendolo.

Le rette di accoglienza sono diversificate in funzione del progetto individuale previsto per il bambino: la cifra di 120,00 euro si raggiunge a Roma solo nei casi di disabilità grave che presuppone un più alto rapporto educatori/bambino.

Insomma una brutta pagina di giornalismo, in un periodo in cui ci sarebbe molto più bisogno di informazione seria sulla possibilità di aprirsi concretamente a gesti di solidarietà, di accoglienza familiare, di buon vicinato, per poter prevenire situazioni che – nel silenzio egoistico di ciascuno di noi – rischiano di degenerare ed arrivare al punto da far intervenire i servizi sociali per le separazioni dei bambini dalle famiglie.

Eppure Roma e l’Italia è piena di tante storie belle, positive di accoglienza, di affidamento familiare, di ragazzi che cresciuti per un periodo in casa famiglia oggi sono perfettamente re-inseriti nel tessuto sociale, hanno una famiglia propria.

Perchè non raccontare queste storie?

O almeno, se si preferisce (per un perverso gusto italico a preferire la demolizione) raccontare quelle che vanno male la prossima volta la prego di affidare il compito ad un giornalista maggiormente preparato che sappia documentarsi, che non faccia di tutta l’erba un fascio, che non generalizzi, che insomma sia degno di questa professione.

Le chiedo a tale proposito la disponibilità ad inviarci un suo cronista che possa visitare le nostre realtà e rendersi conto di persona di quello che le ho scritto.

In attesa di un suo riscontro, porgo cordiali saluti.