Tra i paradossi di questa crisi, uno e non il meno potente, è che per
sentire
una critica del capitalismo, di questo capitalismo finanziario che ha
portato
prima alla crisi della Lehman e ora a quella della Grecia e quindi dell
Europa,
non bisogna andare in una sezione di partito, al seminario di una
fondazione,
nelle aule di ununiversità pubblica. No. Bisogna andare a sentire la
presentazione di un libro di un banchiere, il primo banchiere italiano, un
banchiere cattolico, dentro lUniversità Cattolica del Sacro Cuore.
Alla presentazione del libro di Giovanni Bazoli ed Ernst Boeckonforde,
assente
per ovvi motivi il giurista tedesco, hanno dovuto portare a spalla decine di
sedie in più, tanta era lattesa. E il banchiere bresciano non ha deluso.
Delude invece il PD, quasi completamente assente alla prima presentazione
romana del libretto della Morcelliana, rappresentato, se così si può dire,
solo
dallex senatore, e sottolineo ex, Giorgio Pasetto. Storico esponente della
sinistra di base, un cattolico democratico, appunto.
Su tutto, la prima cosa da menzionare è il ricordo, quasi commosso, che
Bazoli
ha fatto di Giovanni Battista Montini. Forse esagero, ma forse no, se dico
che
Bazoli può rappresentare in questa fase storica per leconomia, per i
decisori
delleconomia, quello che Montini ha rappresentato per la politica e per una
generazione di decisori della politica: uno straordinario formatore di
classi
dirigenti. Montini è stato il più importante formatore di classi dirigenti
che
ha avuto lItalia del XX secolo. Certo, classi dirigenti politiche piuttosto
che economiche, ma il senso delloperazione non cambia. Tutto il
ragionamento
di Bazoli infatti porta a non scindere come invece ha fatto fino ad ora l
ideologia liberista, il compito della politica e quello delleconomia.
Facendo
delluna la disciplina della responsabilità sociale e dellaltra quella dell
utilità individuale. No, ci deve essere una cooperazione tra le due,
pertanto
né contrapposizione né peggio indifferenza tra élites politiche ed élites
economiche. Quella abbozzata ieri dallintervento di Bazoli è stata per
molti
versi una vera e propria teoria delle élites del XXI secolo. Bazoli sa bene,
come ha appreso da Montini, che la storia non la fanno i popoli da soli ma i
popoli insieme alle classi dirigenti. La sfida cui ci chiama questa crisi
non
comporta solo listituzione di nuove e più cogenti regole ma occorre una
reale svolta culturale e antropologica, cui si può arrivare solo
attraverso
una revisione dei valori e dei canoni in cui vengono formati i manager. Si
avverte insomma la necessità e lurgenza che la nuova formazione per i
decisori
delleconomia superi i criteri correnti, teorizzati nelle scuole di
formazione
manageriale e ispirati al postulato che la soddisfazione di utilità
particolari
si traduca automaticamente in una crescita del benessere collettivo.
Boom! Bye bye London School of Economics, bye bye London Business school,
bye
bye Giddens, Blair e Terza via. Per tutti questi ultimi 20 anni i politici
sono
andati nelle scuole di management ad imparare che dovevano lasciar fare, che
il
mercato si autoregolava, che il loro compito era solo e soltanto quello di
promuovere la concorrenza e che questo avrebbe portato albenessere
collettivo. Bisognava lasciar perdere luguaglianza tra le persone e invece
assicurare la libertà di scelta del consumatore. Il consumatore come giudice
di
ultima istanza e gli animal spirits come i suoi angeli custodi. Questo
paradigma non esiste più. Oggi invece suggerisce il banchiere di Brescia la
professionalità dei manager e l’eccellenza delle aziende dovrebbero essere
misurate secondo la capacità di farsi carico degli interessi di tutte le
categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa e, in ultima
istanza, dell’intera comunità di riferimento. Una considerazione distante
anni
luce dal Washington Consensus clintoniano ma ben piantata invece nellalveo
della nostra Costituzione laddove negli artt. 41 e 42, parla di utilità
sociale dellimpresa e di funzione sociale della proprietà. Curioso che
siano gli stessi articoli che qualche democratica anima bella ha con
baldanza
acconsentito a modificare.
Ma nellintervento di Bazoli non cè solo una nuova e originale teoria delle
élites, cè anche una critica spietata dellutilitarismo e della
massimizzazione del profitto. Leterogenesi dei fini se esiste, forse esiste
per il fornaio e il mercato del pane di Adam Smith del XVIII secolo non
certo
per gli edge fund e i mercati finanziari del XXI secolo. In conclusione, il
pensiero espresso da Bazoli è un pensiero forte, e fortemente etico politico
che riesce con successo a demolire quelli che fino ad ora sono stati i
capisaldi incontrastabili e incontrastati del Pensiero Unico liberista. La
sfida è in atto: pensiero sistemico contro pensiero atomistico, kosmos
contro
caos, lungo termine, contro breve termine, decisone responsabile contro
interesse immediato. Per questo oltre a nuove regole serve una nuova
antropologia fondata su unaltra idea del tempo. Il just in time, porta a
non
avere più future, a consumare tutto il consumabile fino ad esaurire le
scorte.
Questa crisi non è allora la crisi del capitalismo tout court ma di un certo
tipo di capitalismo: quello anglosassone, finanziario, che obbedisce alla
dittatura della massimizzazione del profitto, dellinteresse immediato, del
breve periodo. Meglio decidere di guadagnare meno oggi per avere più forza
in
futuro, è lo stesso ragionamento che ha fatto il Governatore della Banca d
Italia, Mario Draghi, solo 10 giorni prima. Quindi nuove regole certo, ma da
sole queste non bastano: la svolta normativa-istituzionale deve
accompagnarsi
a una svolta culturale-antropologica”.
Una lavoro enorme. Da far tremare le
vene e i polsi. Ma finalmente un buon lavoro.
Occorre una reale svolta culturale e antropologica