È vero, da l’altro ieri siamo in estate, e quanto meno la stagione meteorologica dovrebbe farcele apprezzare, queste correnti. Al mare, sul terrazzo di casa…e altrove, invece?


I principali giornali di lunedì 21 giugno hanno riportato le espressioni di disappunto di Berlusconi, preoccupato perché, causa correnti disarmoniche nel suo Pdl, “purtroppo stiamo cercando di farci del male in casa”, aggiungendo che “non credo che dobbiamo aprirci a correnti, ma dobbiamo rimanere uniti come lo siamo sempre stati”. Certo, niente rispetto alle “metastasi” evocate dal premier alla vigilia della Direzione nazionale del Pdl lo scorso aprile (tra l’altro ripescando una definizione del 2005 attribuita alle correnti interne ad An dallo stesso Fini, che in seguito sarebbe diventato uno dei protagonisti nella maggioranza dello spinoso fenomeno del correntismo indisciplinato). E, nonostante i proclami, anche nel Pdl – l’ultima arrivata in termini di tempo è “Liberamente”, fondazione che fa capo a Franco Frattini e a Maria Stella Gelmini – è tutto un fiorire di pensatoi, fondazioni, think tank.


Ma quello che Amedeo Piva ha definito in una newsletter recente ”unanimismo referendario” (a proposito delle primarie PD del 2007) può davvero essere considerato un valore? Non sembra pensarlo più Veltroni , con la sua scuola politica Democratica, che in un’intervista al Corsera di giovedì 17 giugno , a proposito delle tante voci del PD diceva “si ragiona come se ci fosse la politica di un tempo, pensiamo che essendo i partiti ancora figli di sistemi ideologici compiuti ci possano essere risposte univoche, ma non è più così…L’unità monolitica non ci sarà mai più. È bene che ci siano tante opinioni, questo non mi spaventa”.


E allora? Siamo condannati alla irriducibilità di visioni (spesso ideologiche) opposte, o possiamo contare sulla capacità degli uomini e delle donne che cercano di riconoscersi nel PD di fare sintesi e di sfruttare le proprie specificità culturali, storiche, aspirazionali per arricchire il proprio orizzonte? L’indicazione giusta potrebbe essere quella contenuta nel titolo di un’intervista recente di Enrico Letta (Europa, mercoledì 7 aprile), cioè “prima il progetto, poi le alleanze”. Qui finalmente si riconosce come “siamo alla ricerca della chiave giusta. Per parlare dell’Italia del futuro agli italiani e per costruire attorno a queste parole la coalizione giusta per vincere e governare”. Altrimenti si resta incastrati nel parlarsi addosso che non interessa a nessuno, polverizzandosi in una miriade di inutili distinguo, così come notava Felice Celato in una sua riflessione intorno ai partiti di qualche tempo fa (“poi vengono, in ordine di inutilità decrescente, i dibattiti interni ai partiti, incomprensibili ai più, autoreferenziali, convenzionali e noiosissimi”).


E allora dobbiamo ripartire dalla ricerca di quelle parole chiave indicate da Enrico Letta. Perché “corrente” non significhi, come sosteneva Stefano Fassina in un recente incontro di Praxis, un soggetto “fondato su un sistema di micro potere”, ma semplicemente il vettore che possa consentire a una buona idea, qualunque siano i trascorsi di appartenenza di chi la pronuncia, di essere espressa. Per uscire “da indefinizioni qualunquiste adottate per accogliere tutti” (così le ha rappresentate Piva) e, come recita il titolo del prossimo seminario organizzato da Praxis in collaborazione con Trecento Sessanta, mettere in gioco la propria identità per “rimettere a fuoco mete e percorsi”.


Un piccolo esempio pratico di come si può fare sistema in base a un obiettivo comune. Lorenzo Foti è uno dei principali animatori di una bella iniziativa (www.mappamondonuovo.org). Funziona più o meno così: chi vuole trovare qualcuno con cui fare -ad esempio- i biscotti in casa, mette il proprio nome in rete e si posizione virtualmente su una mappa che potrà essere consultata da tutte le persone desiderose di lanciarsi nella stessa avventura. Che siano impiegati precari, donne in pensione o studenti in vacanza, poco importa. Identità di obiettivi, “stare insieme per raggiungere uno scopo comune”: non era questa la definizione basilare che Bobbio aveva dato di “partito”?