Nel 1925, con le ferite della grande guerra ancora fresche e il fascismo in rapida ascesa, Eugenio Montale scrisse gli asciutti versi «Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, (…) codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.».
Sono passati quasi cento anni durante i quali ci è sembrato spesso di averla trovata “la formula” che nuovi mondi potesse aprirci o almeno che in nuovi mondi -pacificati, più costruttivi e forse anche più giusti- ci permettesse di sperare concretamente. Ora invece tutto sembra sgretolarsi sotto i nostri occhi. Possiamo ancora dare per certo che le guerre (non più solo lontane ed altrui) non ci risucchino nelle loro folli logiche? che la fine della pandemia costituisca davvero il preludio di una credibile ripresa economica? che i nostri figli e nipoti abbiano davanti decenni sereni e confortevoli (che a noi sono stati largamente concessi) in cui tracciare i loro percorsi di vita?
Ed ecco che l’amarezza espressa da Montale e il suo sconcerto di fronte agli eventi ai quali assisteva tornano ad essere attuali. Questo sappiamo: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Lo sapevamo cosa eravamo, lo sapevamo cosa volevamo e ci sembrava anche di averlo messo al sicuro, di averlo blindato bene, eppure siamo riusciti a perderci, a non saperlo più nitidamente, a non volerlo più con la determinazione e la lucidità necessarie e stiamo scivolando nella trappola di confondere i pii desideri con gli obiettivi raggiungibili, di ripetere cosa si “dovrebbe” fare senza però saper indicare i modi, i tempi e le alleanze necessarie.
Dovremmo averlo imparato che non basta dire “basta!” perché le cose che non ci piacciono cessino di esistere e invece -come bambini- ripetiamo i nostri “no!” convinti che siano sufficienti per allontanare gli spettri di cui abbiamo più paura: è un lusso che non possiamo più permetterci.
Vivere consapevolmente, così come fare politica, significa prendere decisioni: ovviamente si può non essere d’accordo con le decisioni che vengono prese da chi ha la responsabilità di governare, ma questo disaccordo diventa “politica” solo se è capace di formulare decisioni alternative, credibili e sostenibili. Se non riusciamo ad indicarle non stiamo contribuendo alla discussione, ma solo aumentando la confusione. È una questione di metodo che va oltre la situazione contingente, non riguarda solo la guerra e la politica, riguarda il nostro modo di affrontare i problemi. Quando in montagna si smarrisce il sentiero, viene a piovere e si è davanti a un bivio, tutto si può decidere ma la scelta peggiore è sicuramente quella -nel dubbio- di restare fermi sotto l’acqua e non tentare nessuno dei sentieri possibili.
Non è difficile dire cosa non vogliamo, il difficile è dire cosa vogliamo e declinarlo nella realtà con tutti i vincoli, i dubbi, le approssimazioni e le mediazioni inevitabili.
La storia la fa chi ragiona, rischia e ci prova; non chi ragiona, sta fermo e commenta.