Roma è una città difficile ma possiede in sé tante risorse umane, culturali, scientifiche, organizzative che, se valorizzate al meglio, potrebbero rispondere a tutte le legittime esigenze dei suoi cittadini.

La storia del CeIS di Roma e del suo impegno contro l?emarginazione, il disagio, la droga e in favore della persona umana lo dimostrano. Da una parte abbiamo trovato e continuiamo a incontrare, seppure con molte diversità rispetto a 30 o a 20 anni fa, persone sole, disperate, abbandonate, allontanate, incapaci di orientarsi, che hanno perduto la voglia di vivere, che hanno paura di vivere. Dall?altra possiamo contare su persone, gruppi, associazioni, parrocchie, istituzioni.

Dobbiamo però parlarci molto chiaramente.
Negli ultimi anni, tornando alle radici del nostro cammino e alle premesse della nostra nascita, ci occupiamo direttamente anche di persone senza fissa dimora, di adolescenti a rischio di devianza e abbandono scolastici, di bambini di famiglie problematiche o disastrate, di persone provenienti dal carcere o ancora in detenzione, di malati di Aids, di adulti solo in apparenza ben integrati nella società e nel lavoro ma in realtà schiavi di varie dipendenze farmacologiche e non.
Ebbene, il quadro che ci si presenta è certamente allarmante.
Ci preoccupano soprattutto due aspetti di questo vasto e poliedrico quadro di difficoltà sociali. Il primo riguarda la scarsa attenzione politica, degli amministratori, dei media, della pubblica opinione rispetto ad alcuni problemi. Il disagio meno apparente è come se non esistesse.
È vero, si sta facendo molto, fortunatamente, per i portatori di handicap, anche se la cultura sociale e gli atteggiamenti psicologici della comunità civile devono certo compiere ulteriori passi avanti. Ma che cosa si può fare e si fa per chi ha un handicap interiore, per chi ha un cuore ?non vedente?, una coscienza che ?non sente?, per chi ha bisogno della protesi di un farmaco, di una bevanda, di una droga per potersi alzare al mattino e vivere la sua giornata?

Si sta facendo molto, è vero, per i senza fissa dimora. Ci si preoccupa di assicurare non solo un tetto, un letto, una doccia, un pasto caldo, ma anche di progettare un reinserimento sociale o addirittura familiare. Sta cambiando il problema e sta cambiando la cultura di fronte al barbonismo (anche se, lasciatemi dire, la recente decisione del Comune di ridurre le case famiglia e le piccole strutture, per tornare ai grandi dormitori ha solo giustificazioni economiche e certo non etiche e sociali, in quanto solo le piccole strutture, il contatto ?umano? con gli operatori e la personalizzazione dei percorsi può dare risultati incoraggianti).
Si fa molto per chi dorme all?angolo di una strada, ma che cosa si fa per i protagonisti del cosiddetto barbonismo domestico? Persone che hanno sì una dimora ?fissa?, ma il cui stato di abbandono e di degrado non è inferiore, anzi, a quello di chi incontriamo intorno alle stazioni o in tante piazze della nostra città.

Si cerca di fare molto per i ragazzi che abbandonano la scuola, i più ribelli, i più violenti, quelli che manifestano in modo più eclatante, e più pericoloso per l?incolumità propria e altrui, il loro star male e il loro voler prendere le distanze da una società adulta di cui non accettano le regole e i dogmi, e di cui rifiutano l?incoerenza, la sete di potere, il primato del denaro…
Ma che cosa si fa per chi il mal di vivere lo avverte interiormente, chi non riesce a crescere, ad affrontare le frustrazioni e le delusioni che vive in famiglia a scuola? Sono i tanti giovani che s?incamminano per strade di solitudine e di fallimento, ai quali talvolta basta una piccola spinta, una parola vissuta male, un incontro sbagliato, per cadere nel precipizio (e al di fuori delle metafore, basti pensare ai tanti tentativi di suicidio).

Stiamo facendo molto per prevenire e combattere le tossicodipendenze, perché il drogato è spesso visibile e pericoloso, fastidioso e ingombrante. Ma che cosa si fa per facilitare l?emersione e l?accesso a centri e strutture d?aiuto, per chi soffre di gravi disturbi dell?alimentazione o per i giocatori d?azzardo compulsivo? E che cosa stiamo facendo per chi consuma tra le pareti di casa il dramma del proprio alcolismo o della propria farmacodipendenza da medicine legalmente prescritte da medici di famiglia benevoli, distratti o incapaci di orientare diversamente i propri pazienti?

Ecco, una città a misura di tutti, deve sapersi misurare con tutti, e quindi scoprire anche i mali nascosti e intervenire.
Questa prima riflessione mi riporta ai tempi in cui la tossicodipendenza era considerata un male di cui vergognarsi, al punto che le famiglie attendevano spesso lunghi e drammatici anni prima di rivolgersi a qualcuno, di chiedere un aiuto per il loro caro che usava droga.
Oggi questo accade ancora per molti comportamenti patologici. E forse le ragioni per cui della droga ci si vergogna di meno non sono tutte positive: ci sono genitori che hanno usato essi stessi droghe in passato. Altri che delegano con facilità a strutture pubbliche e private il problema del figlio che ritengono non lo riguardi. Altri ancora talmente pieni di problemi personali e relazioni, in nuclei disgregati, da considerare una tossicodipendenza un fatto accidentale, minore.

Ma certo possiamo dire che chi vuol essere aiutato oggi sa dove andare e cosa chiedere. Ebbene, tutto il lavoro che il CeIS e altri Centri hanno potuto svolgere in questi anni, riflette l?impegno di una città intera: certo, gli operatori impegnati in prima fila si sono fatti carico delle maggiori fatiche; e chi sono questi operatori, se non il risultato di una sensibilità diffusa e del desiderio di impegnarsi attivamente nel sociale? Chi sono i tanti volontari che collaborano con noi, se non una parte importante della città che spende il proprio tempo libero, e qualcosa di più, per fare del bene agli altri?
Non sono parte della città di Roma quelle famiglie che hanno portato il loro messaggio di speranza, la propria trasmissione di valori e di sensibilità nuove nelle loro case, negli uffici, nelle fabbriche, nei posti di lavoro?
Non sono parte di Roma quegli imprenditori e quei sindacalisti che hanno accolto la sfida della droga e hanno dato qualcosa di sé, anche rischiando, per facilitare il reinserimento di tanti giovani? E quei cittadini che si sono dati da fare perché l?apertura di una nuova sede, di un centro di accoglienza, di una comunità non fossero visti dal resto del quartiere come un pericolo, ma, al contrario, come una risorsa?
Non sono parte della città le parrocchie, le scuole, le associazioni, i gruppi che oggi sono integrate in quelle reti educative e sociali di cui organizzazioni come il CeIS hanno bisogno per essere in contatto diretto e in collaborazione con tutto il territorio?

Il cammino è sempre lungo e difficile, perché cambiano i problemi, le richieste, gli stati di disagio, e c?è sempre bisogno di nuove risposte, adeguate ai tempi e alle persone.
Per esempio Roma deve confrontarsi ogni giorno di più con la presenza di stranieri provenienti da paesi poveri. Le analisi nazionali e internazionali ci dicono che nessuno potrà fermare i flussi che dai Paesi poveri con una tendenza demografica elevatissima si rivolgono verso i paesi ricchi dove la popolazione invecchia e fa pochi figli.
Gli extracomunitari aumenteranno (in maggio improvvisamente sono un po? diminuiti perché i polacchi sono diventati comunitari). Sono aumentati in Italia i matrimoni misti (1 su 10). A scuola tra pochi anni ci saranno più bambini d?origine africana, asiatica, sudamericana, albanese e rumena che italiani. Dall?Africa sempre più povera e martoriata da carestie, malattie e guerre, ci attendiamo nuovi grandi flussi di persone che sperano di trovare altrove una possibilità di continuare a vivere.

D?altra parte l?economia mondiale si muove su binari tali che portano i ricchi a essere sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Se l?America resta il modello, la strada è tracciata: gli Stati Uniti sono il Paese in cui è maggiore il numero relativo dei ricchi e quello in cui è è maggiore il numero relativo dei poveri: una società bipolare, dove il ceto medio è sempre più assottigliato. Il disinvestimento nel sociale da parte delle amministrazioni pubbliche in molti Paesi, a cominciare dall?Europa, è significativo.
Di fronte a questo quadro la solidarietà, intesa come tolleranza e come rispetto dell?uomo, promozione della persona umana chiunque essa sia, diventa anche una convenienza, che va nella direzione di un miglioramento delle condizioni di pace, dell?ambiente e della giustizia.
La pace conviene a tutti. La giustizia sociale conviene a tutti. La democrazia e l?equa distribuzione di risorse ridurrebbero anche di molto i flussi migratori. È stato calcolato che in tutti i Paesi del mondo vigesse la democrazia ? accompagnata da un minimo d?intelligenza politica e da un minimo di capacità tecnologiche ? e vigessero regole di mercato davvero uguali per tutti, i terreni e le acque sarebbero in grado di sfamare e dissetare l?intera popolazione del mondo e i ritrovati della medicina sarebbero sufficienti per prevenire, curare e debellare la gran parte delle patologie. E allora perché milioni di persone continuano a morire di fame, di sete, di malattie per noi banali come la diarrea?

Dunque la pace, la giustizia, l?integrazione, la promozione umana convengono anche alla città di Roma.
Ma credo che una città a misura di tutti sia quella che non solo esprime tolleranza e accettazione, che spesso sono semplicemente altri nomi per dire ?sopportazione?, ma che incarna davvero la solidarietà.
Non ho soluzioni magiche da proporre, ma l?esperienza ormai 35ennale a contatto con i più fragili, mi spinge a ribadire alcuni punti.

Per una vera solidarietà occorre anche una solida cultura e un?accurata formazione. L?azione del singolo richiede un quadro di riferimento, una rete, una sinergie di forze, di impegni, di sacrifici. Il quadro deve essere sufficientemente omogeneo, dal punto di vista dei valori e degli obiettivi. I valori e gli obiettivi socialmente diffusi sono parte di una cultura, che va promossa, difesa, aggiornata e che a me piace chiamate cultura della solidarietà.
Gli operatori di questa cultura devono certo possedere qualità numerose, ma non impossibili (nessuno chiede la perfezione): e cioè la coerenza tra la parola e il gesto; l?armonia tra il vissuto pubblico e il vissuto privato (per sé stessi prim?ancora che per gli altri); la capacità di sostenere in modo convincente le ragioni delle proprie opinioni e dei propri comportamenti; la sopportazione dei rischi e della fatica nel lungo periodo, di fronte alla possibilità di demotivazione, di chiusura in sé stessi, di esaurimento professionale (insegnanti, ecc.) o privato (genitori).
Tutto questo richiede formazione. Come? Rispondo, attraverso la guida e l?esperienza: accettare di confrontarsi continuamente con gli altri, accettare di non sentirsi i più bravi e gli unici capaci di cambiare il modo o anche solo la persona che si ha di fronte, lasciarsi inizialmente guidare da chi sa infondere valori autentici attraverso la vita vissuta. E poi la sperimentazione sulla propria pelle, sporcarsi un po? le mani, chi più chi meno secondo le possibilità e le opportunità, ma senza limitarsi al solo annuncio, al solo auspicio, al solo invito rivolto agli altri affinché gli altri poi facciano.
Tre parole chiave, tra guida ed esperienza, sono a mio avviso queste: volontariato, inteso come servizio e come gratuità economica e dello spirito; condivisione, ossia fraternità, cooperazione, collaborazione; e incontro autentico, cioè ascolto, empatia, accompagnamento, presa in carico, non delega. La presa in carico presuppone un impegno concreto e personale. Non basta pensare e dire che per questo o quello bisogna fare qualcosa; spesso occorre farlo in prima persona. Altrimenti le persone tossicodipendenti, i malati, i senza fissa dimora, diventano come le discariche di scorie nucleari o come i parcheggi urbani: tutti concordano sul fatto che sono necessari, anzi indispensabili, ma nessuno vuole poi ospitarli…

Ecco, una città come Roma ha le forze, la tradizione, la cultura, direi anche l?entusiasmo per alimentare il suo volontariato, il suo spirito di condivisione, il suo incontro autentico. Tutti hanno un ruolo importante, insostituibile in questo panorama: dal semplice cittadino al sindaco, dall?imprenditore all?impiegato, dal nucleo famiglia alla pubblica istituzione.