La stagione di incontri di Praxis quest’anno si chiude con una domanda davvero impegnativa: “Tutti a casa, quali criteri per un ricambio?”. La questione è tutt’altro che una speculazione astratta tra conversatori di lungo corso (e la sede di via del Collegio Romano giovedì scorso era più che mai piena di visi nuovi di giovani amici).
L’esigenza di un rinnovamento, in questi tempi di miasmi pubblici e sfasci civili si fa sempre più impellente. L’obiettivo, ben chiarito da Amedeo Piva, direttore della scuola di politica e territorio giunta ormai al suo undicesimo anno di attività, è quella di definire uno “spazio nuovo” per “fare politica da dentro e da fuori, contemporaneamente”. Fuori dai palazzi, sempre più pieni di storie di assurda arroganza, quando non addirittura biecamente farsesche (vedi carnevalate “omeriche” a spese del contribuente). E dentro ai problemi, alle aspirazioni reali delle persone.
Niente voli pindarici. Si ragiona sempre con in mente i tanti appuntamenti elettorali che ci attendono in questa densissima stagione: dalle primarie del sindaco alle primarie del PD, all’ipotesi ballottaggio. Per non lasciare l’impressione amara che l’appannaggio delle idee sia in mano a un camper che gira l’Italia o al qualunquismo di tanti blogger irreggimentati. “Bisogna dimostrare di essere capaci di assumere l’ansia di cambiamento che è forte e diffusa”, ha ribadito Amedeo Piva. E il vero cambiamento si genera ogni giorno con i fatti, compiendo le scelte giuste.
“Essere antenna”, questo l’invito di Amedeo agli amici di Praxis. Pronti, insomma, a intercettare i mutamenti velocissimi cui i tempi ci sottopongono. Rimanendo sempre “capaci di adattarci flessibilmente alle esigenze che via via emergono”.
La riflessione della serata è stata arricchita dagli spunti offerti da Emanuele Caroppo, docente di Psichiatria dell’università Cattolica di Roma, che ha proposto una riflessione antropologica sulla voglia di cambiamento, partendo da un “punto di osservazione clinico, psicoanalitico e psichiatrico”. Le sollecitazioni sono state davvero tante e gli amici di Praxis hanno risposto con proposte e interrogativi altrettanto interessanti.
“Da molti anni prevalgono i disturbi della personalità con sintomi pervasivi, fenomeni drammatici in cui il disturbo si ripete senza fine nelle diverse dimensioni dell’esistenza”, ha spiegato il professore, aggiungendo che “la dimensione narcisistica e la dimensione borderline sono forse i sintomi più evidenti”. Qualcosa sta cambiando dunque e non in meglio, visto che “non si tratta più di casi isolati”, ma di un fenomeno che sta assumendo l’aspetto di “sintomi comportamentali con valenza sociale”.
Cosa è accaduto? “Non si riesce più ad avere un desiderio profondo che porti ad un impegno responsabile” ha spiegato Caroppo, aggiungendo che “occorre recuperare il “linguaggio paterno” (in senso psicanalitico, ndr), vale a dire il linguaggio normativo, della regola. Se porta a questo, anche in senso politico, la frustrazione è un passaggio utile”.
La riflessione ha scatenato una ridda di interventi, caratterizzati da punti di osservazione molto diversi. Primo a prendere la parola Andrea Vecchia, che ha spostato la discussione sul piano delle scelte concrete: “La politica è basata sulla delega, una delega che dovrebbe essere al “migliore”, quello che dà maggiore sicurezza. La difficoltà è quella di conciliare il bisogno di regole con il bisogno di innovazione. Le regole da sole non bastano”.
Maura Viezzoli ha notato invece come “la difficoltà nel desiderare davvero un miglioramento ha a che fare con la difficoltà di sperare che il miglioramento sia davvero possibile”. Il rischio? Rimanere paralizzati nell’incertezza e “cadere nel disfattismo”.
Fausto Giancaterina ha aggiunto: “La lotta al padre è cominciata nel ‘68 con la negazione del limite. Il narcisismo ha generato l’individualismo in cui il desiderio nasce e muore all’interno della propria stanza. Questo ha permesso il proliferare dei professionisti della politica che hanno fatto politica in senso narcisistico”.
È stata la volta quindi di Alessandro Radicchi: “Dovremmo cominciare dal chiederci cosa vogliamo fare noi. Vogliamo identificare qual è il modello migliore per far funzionare la società o vogliamo vincere le elezioni ? Non è detto che le due cose coincidano”. Il presidente di Europe Consulting ha poi aggiunto: “Bisogna analizzare cos’è che spinge le persone a fare le proprie scelte. Dobbiamo capire davvero perché le persone votano Grillo o votano Renzi o Bersani. Solo se ce lo chiediamo con onestà possiamo capire meglio come muoverci”.
Attenzione però agli apparenti conflitti “generazionali” (vecchi contro giovani, nomenclature muffite contro arditi rottamatori…), perché anche Caroppo mette in guardia: “Non bisogna cadere nella trappola di vivere lo scontro tra padre e figlio, perché vince sempre il figlio” (spesso più conservatore del padre).
Il problema è anche organizzativo, come nota Nino Sergi: “Perché i partiti non preparano le seconde file? C’è poi da stupirsi che le seconde file non ci siano o siano impreparate o peggio delle prime?”.
Gli fa eco Sibi Mani Kumaramangalam: “C’è una rincorsa ai simboli del cambiamento”. Una rincorsa spesso vuota, senza sostanza.
Insomma, prima di dedicarsi con piacere al couscous conclusivo della serata, di sollecitazioni ne sono emerse e tante. L’impressione è che questo gruppo dinamico di amici più che mai senta il bisogno di tradurre in azione le riflessioni condivise. Per aprire le porte del pensatoio e calare insieme le idee nelle scelte, nella vita.