Dopo gli Stati Uniti di Hillary Clinton e Condoliza Rice, le donne della nuova Spagna di Zapatero, la Germania della Merkel, il Cile della Bachelet con il suo programma di nominare 10 ministri donna su 20, sembra che non vi sia più nessun dubbio: nel mondo soffia un vento forte e impetuoso, un vento al femminile, il vento delle pari opportunità che spira da lontano e che porta schiarite e nuove possibilità di fare politica. Ma questo è un vento particolare e di ventura che stenta a soffiare ovunque. È un vento che ad alcune latitudini improvvisamente si fa tempesta, scuotendo fin nelle viscere le fondamenta della società, e ad altre invece si limita solo ad una lieve bolina insufficiente a trainare il più piccolo mutamento.
E in Italia che vento tira? La storia ci insegna che da noi non è vero che le Alpi e il Mar Mediterraneo hanno sempre fermato qualsiasi cosa. Certo, se provate a chiedere ad un milanese di chi è la colpa della costante nebbia in Val Padana, vi risponderà immediatamente che la colpa è delle montagne che non lasciano passare neanche un filo di vento. Ma è pur vero che nei lunghi secoli trascorsi, mari e montagne ci hanno preservato un po? troppo poco dalle invasioni barbariche, golose della nostra terra e della nostra cultura, e un po? troppo spesso dalle idee riformatrici provenienti dal resto d?Europa e dal mondo civilizzato.
A quanto pare sembra che non sia possibile per qualsiasi tipo di vento battere le nostre città e le nostre campagne, vi è sempre stata una barriera invisibile che si interpone tra noi, la nostra cultura e il flusso continuo del cambiamento. Così anche questa volta, non vi è traforo alpino o breccia di Porta Pia che sia utile a far transitare il vento delle pari opportunità. Gli scranni del parlamento, come le poltrone di tante aziende, sono più duri del granito stratificato e delle mura Aureliane, e impediscono a questo vento fresco e innovatore di soffiare all?interno delle amministrazione pubbliche e private d?Italia. Il naufragio nostrano della legge sulle quote rosa non ne è che l?ultima conferma.
Le elezioni politiche di aprile si avvicinano, mancano non più di 70 giorni, e in molti ancora discutono di percentuali da assegnare alle donne: 20%, 30%, 40%, addirittura 50%. Le quote rosa variano in funzione dei partiti, dei collegi e delle regioni dove si svolgerà la competizione elettorale, delle agenzie che in caso di vittoria si andranno ad occupare e delle amministrazioni pubbliche che saranno da gestire. Ma nessuno, a parte alcuni casi sporadici, ha il coraggio vero di dare un impulso diverso e significato, un impegno concreto verso questo utile ed epocale cambiamento.
A mio avviso in un paese democratico chiunque può presentarsi alle elezioni amministrative e politiche senza il dover subire quote di demarcazione, rosa o celesti che siano. Certo, stabilire in anticipo delle quote rosa, garantisce, almeno in percentuale, l?ingresso nelle liste di un tot di candidati donna. In sostanza, tutti uguali al nastro di partenza. Poi, il vero problema sarà il farle votare, perché in Italia pare che le donne non votino le donne ma questa è tutta un?altra storia.
Quote rosa e pari opportunità, un?anomalia italiana