Caro Amedeo, provo a rispondere.

Sono figlio di due analfabeti: mio padre si è ammazzato di lavoro (letteralmente)  e non ha mai capito perché a 17 anni era stato mandato a conquistare un impero ed uccidere, tentando di non essere ucciso,  altri disgraziati greci che almeno difendevano casa loro; mia madre, povera figlia di operaio, per giunta comunista, ha sofferto la fame vera e non ha mai capito perché suo fratello a soli 21 anni operaio si era recato, fuori dall’orario di lavoro, spontaneamente e senza autorizzazione (questo affermò la sentenza dei giudici) su un trabattello malandato e insicuro dal quale cadde e morì, per propria grave negligenza …. dissero.

Ma i due ignoranti genitori una cosa l’avevano afferrata bene: era meglio capire, era meglio studiare!!!

E a casa mia, per noi figli, non c’era molto da scegliere la priorità era chiara sin dalla nascita.

Ciò detto, le cose non sono state semplici, l’università costa,  e una parte della nostra società, presente anche nelle aule universitarie,  era ed è ancora classista/reazionaria, e da questa parte che hanno  provato a spiegarmi che il figlio di un venditore ambulante è meglio che faccia il venditore ambulante, come pure il figlio dell’idraulico, l’idraulico ecc ecc , perché ostinarsi a fare L’INGEGNERE quando non si hanno mezzi e si proviene dalla peggiore periferia di Napoli.

Eppure qualcun altro, giovane e combattivo, si è impegnato perché le cose fossero diverse, perché la storia potesse cambiare, ha difeso i miei diritti: avevo bisogno di libri e mi ha dato intere biblioteche, mi ha dato aule riscaldate, attrezzature, computer , borse di studio, tasse pagate, mezzi pubblici; ho avuto tutto quello che mi serviva, il resto era superfluo, mi è bastato studiare.

Laureato con il massimo dei voti e mettiamoci anche la lode.

Io so che devo molto a quel giovane combattivo anche se non l’ho mai conosciuto, sento che ha dovuto soffrire per darmi quello che ho ricevuto e non ha mollato ed ha pensando che io meritassi il suo tempo e il suo dolore. Di contro io vivo coerentemente con la mia storia, se si tratta di soffrire per la cosa giusta, soffro, sento il mio debito come un patto d’onore e non dimenticando quello che sono stato, i miei genitori e quello che loro hanno sofferto e quando, nel mio lavoro di dirigente,  i miei colleghi mi avvertono che ho a che fare con un sindacalista, magari uno di sinistra, tosto e cazzuto, riflettendo che non possono capire perché sorrido e, pur rispettando i ruoli, non vedo l’ora di incontrarlo.

E’ difficile, ma non bisogna mollare se vogliamo, magari anche molto lentamente, che questo mondo sia migliore.