“Fa più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce” è uno tra i più citati fra gli innumerevoli aforismi cinesi e forse -proprio per questo- meno valorizzato. Siamo circondati da alberi che cadono e storditi dal rumore di chi commenta la loro caduta, di chi ci spiega perché non sarebbero dovuti cadere e dei taglialegna che ci lucrano sopra.
Nella sua ultima pubblicazione “Le tre soglie del giornalismo” P.Francesco Occhetta afferma che “la quantità di informazione dall’inizio dell’umanità fino al 2003 viene oggi riprodotta in sole 48 ore”, c’è da stupirsi se in questa rumorosissima casbah nessuno fa attenzione alla foresta che cresce?
Eppure la foresta cresce. Migliaia di insegnanti, fornai, medici, idraulici, poliziotti, magistrati, agricoltori e amministratori delegati lavorano onestamente ogni giorno perché questo paese possa andare avanti e la vita di tutti noi sia possibile e sicura. Tra costoro, malgrado le apparenze, addirittura anche molti politici, amministratori pubblici e giornalisti. E’ la foresta silenziosa che ci fa sperare, la normalità di chi non ha bisogno di fare notizia, la gratuità che stupisce (chi ha notato questa settimana la notiziola da ventesima pagina del “donatore samaritano” o i 2.500 giovani del Faro?).
Ci piace pensare che “sperare” o “disperare” sia la conseguenza di quanto avviene intorno a noi e invece “sperare” o “disperare” è una decisione che dipende da noi, dal mettere a fuoco la foresta che cresce o l’albero caduto: quello che ci accade spesso ne è la conseguenza.