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A leggere i titoli di molti quotidiani sembra che il principale argomento trattato al Consiglio Europeo della scorsa settimana sia stato il mancato invito della presidente del consiglio Giorgia Meloni alla cena all’Eliseo della sera precedente. Il presidente francese Macron ha accolto Zelensky invitando all’incontro solo il cancelliere tedesco Scholz. Anche volendo leggere quella cena come un gesto “europeo” di vicinanza all’Ucraina non ha molto senso rimarcare il mancato invito al capo del governo italiano e non quello degli altri capi di governo europei. La stessa Giorgia Meloni ha osservato che “a Parigi erano in due e non c’erano gli altri venticinque“, perché allora questo disappunto? Forse perché a tutti è venuta in mente la foto di quattro mesi fa di Draghi in treno insieme a Macron e Scholz in viaggio verso Kiev? Probabilmente si, visto che in conferenza stampa Giorgia Meloni ha affermato che “non basta, come in passato, una foto per dare centralità all’Italia” e ne ha dedotto che -prima di lei- i presidenti del Consiglio si occupavano soprattutto di intercettare “foto” con gli altri leader e “pacche sulle spalle” mentre adesso -invece- “l’interesse nazionale io lo metto al primo posto”.
Non c’è da drammatizzare, il mancato invito a cena da parte di Macron non è una dichiarazione di guerra, come non lo è l’aver giudicato “inopportuno” -da parte di Meloni- l’incontro a due. Non sono questi i problemi seri che l’Europa deve affrontare e il farne un caso rende solo più visibile una fragilità che -proprio perché esige costantemente di essere negata- preoccupa di più.
La più profonda ragione di fragilità è la difficoltà -inconfessata ma ben visibile- a gestire le relazioni interne alla maggioranza di governo: “Non è facile per nessuno di noi gestire la questione Ucraina con l’opinione pubblica -ha detto la presidente del Consiglio– quello che noi facciamo lo facciamo perché è giusto ma forse non è la cosa migliore sul piano del consenso”. Ma se è comprensibile che chi governa tenga un occhio a ciò che ritiene giusto ed uno al consenso, lo è meno il dover continuamente tenere a bada Lega e Forza Italia che non perdono occasione per prendere le distanze e introdurre distinguo soprattutto in relazione alle posizioni “ufficiali” di sostegno all’Ucraina. Due eloquenti esempi sono stati la resistenza alla prevista trasmissione del videomessaggio di Zelensky a Sanremo e le continue ambiguità sull’approvazione di nuovi invii di aiuti militari: da entrambi sembra trasparire il tentativo di tenere il piede in due staffe, di ammiccare ad una impossibile equidistanza e di porre le premesse per poter affermare -se le cose vanno male- “lo avevamo detto…”.
E’ vero che -almeno a parole- la presidente del Consiglio non manca di rassicurare l’Europa (“nei prossimi giorni saremo pronti a fornire il sistema di difesa Samp-t“) e il presidente ucraino (“saremo sempre al vostro fianco e prima del 24 febbraio verrò a Kyev”), ma questa sua ostentata determinazione quanto è credibile sullo scenario europeo? Forse Macron e Sholz non vedono la riottosità di Lega e Forza Italia e il conseguente indebolimento “interno” del governo? Forse non colgono il differenziale di convinzione e di compattezza tra l’accoglienza a camere riunite riservata a Zelensky dal governo inglese e le provinciali polemiche di casa nostra per derubricare l’appello dello stesso Zelensky ad una paginetta da leggere in TV “ma solo dopo l’una di notte”? Non sarebbe giustificata qualche perplessità sulla credibilità delle promesse del presidente del Consiglio? Se non si fida lei della sua maggioranza -potrebbero chiedersi- come può l’Europa fidarsi di lei?
In ogni caso non c’è da rallegrarsi per tutti questi sintomi di fragilità. L’Italia ha bisogno dell’Europa e non c’è approccio più sciocco della contrapposizione frontale con gli alleati. Quello che bisogna costruire è la fiducia reciproca. Fare gli offesi non paga.