Il grande successo riscosso dallo spot di Telecom Italia in cui un Ghandi in bianco e nero parla dal maxischermo alla folla radunata nella Piazza Rossa è dimostrato dai risultati presentati da Eurisko, incaricata di compiere una ricerca su campione per valutare il gradimento dello spot, ?oltre la metà degli intervistati, senza sollecitazioni, ha mostrato di aver colto il messaggio. Normalmente, questa percentuale non supera il dieci per cento. E otto su dieci hanno riconosciuto Ghandi.

Ghandi sembra oggi acquistare una grande rilevanza e attualità proprio perché il suo messaggio, fortemente influenzato da alcuni pensatori occidentali con cui era entrato in contatto, è una sfida diretta alla nostra coscienza per le continue sollecitazioni alla tensione non violenta considerata come primaria e universale. Il metodo nonviolento creato e perfezionato instancabilmente da Gandhi fu chiamato Satyagraha, in una parola: verità audacia, compassione e fiducia negli altri.

Ghandi nell?elaborazione del suo metodo ,attraverso cui ha voluto lanciare un ponte ideale tra oriente e occidente, era stato influenzato dalla lettura di Thoreau, Ruskin, Tolstoj riferimenti culturali di un? ?altra? Europa. Cioè di un pensiero occidentale non direttamente contaminato dal desiderio di dominio e sopraffazione.

Al periodo londinese risalgono infatti le letture di coloro che comincia a considerare come suoi maestri: con grande entusiasmo, crede di cogliere analogie e consonanze profonde tra i nobili ideali di questi autori e l?essenziale insegnamento d?amore e di pace universale proprio del più puro induismo. Si trovò dunque a frequentare quei movimenti sostenuti da parecchi dissidenti, che si opponevano recisamente al classico, alienante materialismo industriale.

Dall?americano Thoreau apprende la tecnica della disobbedienza civile, leggendo Ruskin approva l?identificazione del bene individuale con il bene comune, ma soprattutto viene profondamente colpito dagli scritti di Tolstoj. Vi trova l?invito a non opporsi al male con la violenza, l?esortazione all?amore del prossimo e al pacifismo, la conferma dell?antico comandamento indiano dell?ahimsa, che significa amore e non violenza. Proseguendo la lettura dell?autore russo, con cui intraprese anche uno scambio di lettere, Gandhi condivise anche la riduzione di ogni fede religiosa alla forma essenziale di ?legge dell?amore verso il prossimo?, l?aspirazione ad una profonda rigenerazione morale dell?uomo, la polemica contro il progresso, la scienza, il lusso e le ricchezze e quella contro la città, disgregatrice e distruttrice dei valori umani più profondi.

Altrettanta forza e attualità acquistano le sue considerazioni in materia economica. In questo nuovo millennio, in cui sembra, purtroppo, che a dominare le relazioni e le dinamiche sociali continuino ad essere le ?forze delle tenebre?, i meccanismi inesorabili che perpetuano in mille diversi modi disuguaglianze, iniquità, piccoli e grandi conflitti e mettono di continuo a repentaglio l?equilibrio ambientale del pianeta.
Lo swadeshi era il programma economico del Mahatma per la promozione delle piccole comunità locali. L’India libera auspicata da Gandhi non era uno stato nazionale ma una confederazione di villaggi autonomi e autosufficienti:l?India dei settecentomila villaggi. Il potere politico ed economico doveva essere gestito dalle assemblee locali.

Questa filosofia era profondamente radicata nella popolazione: per millenni la gente aveva vissuto in armonia con la natura, mangiando quello che coltivava e tessendo i propri vestiti. Gli animali, la terra e le foreste erano parte integrante di questo equilibrio sociale e ambientale. Ogni regione aveva una propria identità culturale ben definita ed era orgogliosa di questa diversità.

Lo swadeshi non nega l’importanza dell’economia, ma le attribuisce un ruolo subordinato. Se supera un certo limite, la crescita economica ostacola il benessere.

Diceva Gandhi: oggi molti pensano che l’accumulo di beni materiali sia la chiave della felicità.

«Il benessere è necessario, ma oltre un certo limite diventa un ostacolo. Dietro la creazione di bisogni illimitati si nasconde una trappola. La soddisfazione dei bisogni materiali deve avere dei limiti, altrimenti degenera in culto della materia. È il rischio che stanno correndo gli europei, e che avrà effetti devastanti se non compiranno un cambiamento radicale».

L’espansione economica, come insegna la storia, degenera spesso in guerra. «Al mondo c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti», diceva Gandhi, «ma non l’avidità di tutti».

Gli economisti odierni, al contrario, sono attratti dal mito della crescita illimitata. E proprio perché non conoscono limiti, non sono mai soddisfatti di quello che hanno. Lo swadeshi, invece, promuove la pace: pace con sé stessi, con gli altri, con la natura.
L’economia globale stimola la competitività e l’ambizione. Il risultato è una vita logorante, con poco spazio per la famiglia e per la propria dimensione spirituale.

Il Mahatma voleva sostituire l’economia centralizzata di tipo industriale imposta dal colonialismo britannico con un sistema artigianale e decentrato. In effetti il lavoro manuale ha dei contenuti culturali e religiosi ben precisi, perché stimola la responsabilità e promuove i rapporti interpersonali. In questo modo si cementano i rapporti comunitari fra gli abitanti del villaggio.

L’industrializzazione, al contrario, stimola la gente a lasciare il villaggio per andare a lavorare nelle fabbriche. In questo modo l’uomo perde la propria dignità e diventa una ruota dell’ingranaggio. Divide il suo tempo fra la catena di montaggio e squallidi agglomerati urbani. Poi, quando le industrie richiedono una maggiore produttività, cominciano a rimpiazzare l’uomo con le macchine e producono masse di disoccupati. Nello swadeshi, invece, la tecnologia è subordinata all’uomo e non assume mai un ruolo principale. Lo stesso principio vale per il mercato.

I suoi principi, validi oggi più che mai, costituiscono forse un’alternativa integrale alle false promesse della globalizzazione esasperata.