Parliamo di capricci. Un vizio antipatico di certi bambini o anche un sintomo di senescenza avanzata.

Capire quale delle due ipotesi riguardi l’Italia non è questione da poco. Nel primo caso abbiamo ancora qualche speranza, nel secondo, non ci resta che attendere la fine.

Purtroppo i segnali sotto gli occhi di tutti fanno propendere per il rincitrullimento senile. Evocare continuamente i ricordi, fantasticare su come eravamo, vivere di rendita.  Non concepire un futuro che vada al di là del più vicino appuntamento elettorale. E quando diciamo “capricci”, non pensiamo alla stucchevole evocazione del federalismo come soluzione di ogni problema  (potrebbe anche essere così, se chi lo invoca ogni cinque minuti ci spiegasse davvero cos’è, come funziona e quanto costa).  In fondo l’India è una federazione di ventotto stati e sette territori e funziona alla grande, programma la sua economia con un respiro ventennale ed è la quarta economia del pianeta in termini di potere di acquisto.

No, non è il federalismo il peggior capriccio dell’Italia: i veri vizi, quelli che la svuotano dentro, sono l’incapacità di assumersi responsabilità, il rifiuto di fare i conti con le conseguenze delle proprie scelte, l’ostinazione a vivere al rallentatore mentre gli altri corrono (e lamentarsene come fosse un sopruso), il continuo rimandare le decisioni, il vivere il futuro come una minaccia.

Questi sono i capricci che ci preoccupano e assomigliano più al declino di un vecchio che a una crisi pre-adolescenziale. Forse però una speranza  c’è.

Impossibile immaginare che arrivino dal nulla degli eroi che, come i sette samurai di Kurosawa, armati di coraggio e soluzioni già pronte, salvino il paese dal tracollo. Bisogna invece  incamminarsi sulla via delle scelte responsabili.

Come cercare un legame sempre più saldo con l’unico fratello maggiore in grado di proporre soluzioni praticabili: l’Europa.

Una scelta che richiede maturità, decisione. E senza piagnistei.

 

Buona settimana.

Amedeo Piva