Salaam alekum, pace a voi amici miei,

anche perche’ qui di pace non se ne parla proprio.

Vi scrivo per salutarvi e rassicurarvi che nonostante quello che si dice in giro a
Jenin si riesce anche a stare bene. Un trattamento cosi’ non l’avevo davvero mai
ricevuto. Il quartiere mi ha praticamente adottato. Sono stato personalmente
raccomandato al “felafelaro” sotto casa per ogni mia necessità e ormai per avere
qualche momento di meritata solitudine sono costretto a rientrare a casa di soppiatto
e a orari improbabili per evitare l’immancabile invito a cena con fumatina di arghilé
finale. D’altra parte se non mi faccio vedere in giro il cibo mi segue fino casa
accompagnato da qualche bimbetto incaricato dalla mamma o dalla nonna. Senza parlare
del numero di te e caffè che il rispetto per l’ospitalità mi costringe a bere durante
tutto il giorno.

Insomma finora davvero tutto bene. gli unici momenti di tensione sono i passaggi ai
check point dove le armi spianate, i carri armati e l’aspetto del tutto inconsapevole
e annoiato dei soldati, la pretestuosità delle procedure e la loro per lo più
completa incapacità di valutazione risulta poco rassicurante.

La cosa peggiore è proprio che, nonostante una certa atmosfera di normalità dovuta
all’abitudine che si crea stando con i Palestinesi ancora non posso fare a meno di
pensare, ogni volta che sento un trattore in lontananza, che stiano entrando i carri
armati (e ogni tanto non sbaglio).

In questi giorni sono ricominciate le operazioni militari anche a Jenin. Mentre
scrivo sento un elicottero che gira qui su da qualche parte (Apache per l’esattezza)
e il rumore dei carri che fanno avanti e indietro dalla città. Qui sono solo di
passaggio e per me non c’è nessun rischio. Ma l’ansia e la rabbia per quello che
succede in città è inevitabile. Non si tratta comunque di bombardamenti, ma i mezzi
corazzati e i soldati sono molto aumentati, così come il numero dei coprifuoco e le
incursioni in città alla ricerca di esponenti della resistenza. Un primo cambiamento
che ho notato stando qui è una certa estremizzazione delle mie posizioni sulla
questione palestinese. Per il momento mi sto limitando ad eliminare la parola
terrorista dal mio vocabolario, almeno finché non arriverà a inglobare con il suo
campo semantico qualunque autore, intendo di qualunque parte del conflitto o dei
conflitti, di azioni armate che rechino danno e mettono a rischio la vita della
popolazione civile inerme. D’altra parte che il terrorismo sia una scusa per ogni
tipo di azione nefasta sotto l’egida della legge e della giustizia è già da un po’
che ce lo diciamo. Quindi basta accettare le definizioni di cui ci infarcisce il TG.