Lei narra nel suo libro del naufragio più grande mai avvenuto dalla II guerra mondiale nel Mediterraneo: una nave con a bordo 450 persone, di cui solo 125 superstiti. Come è possibile che sia pressoché passato sotto silenzio?
Nelle scuole di giornalismo insegnano che uno dei più importanti ?valori ? notizia? è il concetto di vicinanza. Su un giornale locale fa molto più notizia un incidente stradale accaduto nella piazza principale che non il terremoto a Giakarta con migliaia di morti.
Nonostante la sciagura della nave sia avvenuta in prossimità delle nostre coste, riguardava gente che veniva dal Pakistan, un paese molto lontano. Rispetto ad altri stati europei in cui c?è un?attenzione dell?opinione pubblica molto accentuata su ciò che succede fuori dai confini nazionali, in Italia questa sensibilità non c?è e anche questo spiega il disinteresse sulla vicenda.

Il Mediterraneo oggi è la frontiera tra il mondo in via di sviluppo e il ricco occidente. Il vero confine, non solo geografico, da superare. Quali sono le porte di ingresso dell?Unione europea e che supporto i paesi costieri ricevono per far fronte a questo ruolo?
La vera frontiera dell?Unione europea è Malta. È il paese che paga il più alto prezzo nell?essere approdo di tanti profughi in cerca di salvezza.
Le sue dimensioni se proporzionate al numero di persone che ogni anno arrivano, sono ridicole.
Questo i maltesi non riescono a sopportarlo. Si è sviluppato un senso di intolleranza molto forte. La normativa in vigore certo non aiuta una popolazione che si sente invasa. Nei centri di detenzione ci sono migliaia di profughi che vivono in uno stato prigionia che si protrae per mesi e mesi.
In uno dei miei ultimi viaggi a Malta sono rimasto molto colpito dal sapere che i componenti di tutte le forze armate maltesi arrivano ad un migliaio in totale. Un numero nettamente inferiore rispetto a quanti sbarcano ogni anno lì.
L?Europa non può non curarsi di ciò che succede a Malta. In confronto l?Italia si trova a far fronte ad un numero di persone in proporzione molto più gestibile.

Secondo lei gli italiani tendono a issare delle barriere culturali nei confronti di chi arriva nel nostro paese in cerca di asilo o di un futuro migliore?
Sono convinto che gli italiani ormai da tempo non abbiano più un approccio ideologico all?immigrazione. Le loro considerazione sono frutto di frequentazione quotidiana con gli stranieri. Non siamo più un paese di nuova immigrazione. Il tempo non è passato invano. Nelle scuole, nei palazzi, negli autobus è ormai difficile trovare solo italiani. Questo vuol dire che ci troviamo a condividere con gli immigrati problemi comuni come la riunione di condomino, il ritiro delle pagelle etc?
A questo livello sta avvenendo un importante processo di integrazione.
Anche se i giornali e la politica sembrano voler dimostrare il contrario, in Italia non si stanno alzando steccati. Guardando al futuro, sono ottimista.

Donatella Parisi