I minori immigrati sono chiamati génération involontaire (generazione involontaria) da Tahar Ben Jelloun, (noto scrittore marocchino residente in Francia, autore tral’altro di “l’Islam spiegato ai nostri figli”), che aggiunge: “una generazione destinata a incassare i colpi. Questi giovani non sono immigrati nella società, lo sono nella vita? Essi sono lì senza averlo voluto, senza aver nulla deciso e devono adattarsi alla situazione in cui i genitori sono logorati dal lavoro e dall?esilio, così come devono strappare i giorni a un avvenire indefinito, obbligati a inventarselo invece che viverlo”.
L’espressione “generazione involontaria” rende bene l’idea di un fenomeno che in questi ultimi anni è aumentato in maniera significativa , nei paesi europei, rendendone assai difficoltosa, ma non impossibile (come qualcuno vorrebbe farci credere) la gestione.
La scuola, i servizi socio-assistenziali, la giustizia sono solo alcune tra le istituzioni pubbliche e private che ogni giorno si cimentano con i nuovi problemi che la crescita di una società sempre più multiculturale e ancoro troppo poco interculturale comporta.
Una generazione involontaria che cresce insieme alle problematiche di cui si fa espressione e che talvolta si manifesta più concretamente attraverso comportamenti facilmente rilevabili come: il ritardo scolastico, il disagio individuale e familiare, il maggior rischio di devianza sociale.
Per alcuni decenni è rimasta radicata l’abitudine a ritenere l?immigrazione un evento di cui sono protagonisti esclusivamente individui adulti, per lo più soli, e non certo interi nuclei familiari.
Tranne rare eccezioni, prima degli anni ottanta, l’Europa aveva avuto modo di sperimentare la cosiddetta “immigrazione da lavoro” piuttosto che la cosiddetta “immigrazione da popolamento”. Anzi, le stessa idea dell?immigrare appariva, per molti aspetti, antitetica all’idea della famiglia. L?immigrato era prevalentemente un ospite temporaneo che aveva le proprie radici altrove, ovvero nel contesto geografico, sociale, culturale, in cui prima o poi sognava di tornare.
Dagli anni Novanta i fenomeni migratori hanno investito anche i bambini. Tuttavia, l’iniziale sorpresa che accompagnò l’accorgersi della presenza dei minori immigrati implicava allora e ancora di più oggi una specifica riflessione teorica che vada oltre i meri dati statistici.
Nel momento in cui un minore è coinvolto nel processo migratorio perché figlio di cittadini immigrati, il fenomeno perde quel suo carattere transitorio di pura immigrazione da lavoro e diviene qualcos?altro, o dovrebbe divenirlo. Da questo punto di vista, infatti, i figli degli immigrati non dovrebbero rientrare nella categoria sociologica dei migranti, poiché non hanno compiuto alcun percorso migratorio.
I bambini stranieri non hanno mai visto la terra d’origine dei loro genitori e l’hanno conosciuta solo attraverso i racconti o i silenzi dei genitori, l’identità delle radici spesso giunge loro come una realtà dolorosa, perchè l’emigrazione è di per sé un trauma in quanto esperienza di rapporti significativi spezzati, di disorganizzazione di equilibri, di separazioni desolanti.
I figli di queste famiglie introducono in casa le differenze, i cambiamenti, parlano in modo corretto la lingua italiana nella loro vita sociale e la loro lingua d’origine in casa, quasi costretti in una sorta di sdoppiamento culturale che può avere ripercussioni anche serie per la loro futura stabilità psichica.
Certamente la realtà del minore immigrato è fortemente conflittuale perché caratterizzata da un lato dalla realtà familiare portatrice di vissuti propri e dall’altro dalla realtà extra-familiare che lo costringe ad un processo di adattamento ed acquisizione culturale accelerato e che si pone in modo quasi antitetico rispetto alla realtà familiare. Le due realtà coesistono con un’altra realtà, quella propria della dinamica psicologica interna, fortemente impegnata in un processo di fondamentale importanza: la costruzione dell’identità personale.
Si rileggano allora i dati sulla devianza minorile e l’incidenza che su di essa ha la presenza in Italia di minori stranieri alla luce di queste semplici considerazioni. Che cambi qualcosa?