Finisce un ventennio breve in cui i partiti emersi dopo la grande crisi di Mani pulite hanno già consumato tutta la loro credibilità polverizzando i tre pilastri della politica: la visione, la concretezza e l’opportunità”, così scriveva pochi giorni fa Luca Di Bartolomei in un suo bell’articolo (“Partiti, inutile far finta di nulla”, su Europa del 20/04/2012).

Tre pilastri, appunto: la visione, la concretezza e l’opportunità.

In altre parole COSA vogliamo fare, COME vogliamo farlo definendo i TEMPI (e la misura) in cui è possibile farlo.

Non è così complicato: anche un buon contadino che vuole piantare patate ragiona così e, se non lo fa, le patate non le avrà.

Eppure siamo riusciti a perderci, a non sapere più cosa vogliamo, a cadere nella trappola di non dirci mai il “come” e a sbagliare regolarmente i tempi, i modi e le alleanze.

Trattiamo la politica come una scienza occulta, roba da iniziati, un miscuglio di riti dall’esito incerto mentre  funziona esattamente come le patate del contadino: cosa, come e quando. Il resto serve solo a non farsi capire.

Per troppo tempo non abbiamo preteso questa chiarezza da chi fa politica ed anche in questa fase -feriti e delusi- stiamo per ricadere nella trappola di sognare improbabili scenari pur di non fare i conti con la realtà, con i numeri e con le alternative possibili.

I giornali, il web, i luoghi comuni e le barzellette si riempiono velocemente di facili slogan che dicono con estrema chiarezza cosa non vogliamo, ci regalano decine di “basta” come caramelle consolatorie e inappellabili “giù le mani da…” come esorcismi scaramantici.

In politica non possiamo più permetterci il lusso di parafrasare Montale “solo questo possiamo dirti oggi, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”: è la ricetta sicura per essere sempre perdenti!

In politica bisogna assolutamente sapere cosa siamo e cosa vogliamo e bisogna anche dirlo con chiarezza se non vogliamo perpetuare il gioco delle tre carte.

Fare politica significa prendere decisioni: ovviamente si può non essere d’accordo con le decisioni prese, ma questo disaccordo diventa “politica” solo se è capace di formulare una decisione alternativa e sostenibile. Se non riusciamo ad indicare decisioni e decisori alternativi e credibili non stiamo facendo politica, ma solo aumentando la confusione.

Adesso, più che mai, dobbiamo puntare all’essenziale, abbiamo bisogno di una politica concreta che passa dal cosa, dal come e dal quando, finché non sappiamo dirlo meglio tacere.