Una delle peggiori derive involutive che si va affermando è la ormai radicata convinzione che sia un diritto assoluto non subire alcun disagio, non correre alcun rischio e non riportare alcun danno. Mai.
Pertanto, quando -in seguito ad un evento- ci accade di subire un disagio, correre un rischio o riportare un danno, scatta immediatamente lo status di “vittima-di-sopruso” e ci convinciamo di aver diritto -a prescindere- ad una soluzione (ovviamente immediata), ad un risarcimento (ovviamente congruo), ad un sostegno (ovviamente risolutivo), e comunque ad arrabbiarci, a raccontare il disagio, a lamentarci, ad essere compatiti oltre che ad inveire contro il colpevole di turno. Non mi riferisco ovviamente a quei casi specifici in cui la sequenza causa-effetto-danno risulta facilmente definibile e la responsabilità identificabile (un tamponamento in auto, un errore burocratico, un ritardo di pagamento), ma a quelle vicende collettive in cui tutti siamo immersi nelle quali il rapporto causa-effetto-danno e l’identificazione delle responsabilità si prestano ad interpretazioni arbitrarie e strumentali.
Prendiamo gli enormi disagi, rischi e danni che la pandemia sta causando: danni alle attività economiche, rischi sanitari, organizzazione difficoltosa della scuola, esigenze di protezione che fanno a pugni con la produttività, cassa integrazione e quarantene obbligatorie a carico pubblico, tamponi costosi e spiacevoli, attese sconcertanti per l’accesso ai servizi, ecc.. Tutti, anche se in misura diversa, subiamo disagi e siamo costretti a correre rischi. Abbiamo certamente il diritto di lamentarci dei disagi che subiamo, e -visto che con il signor Covid non possiamo prendercela- ce la prendiamo con il modo in cui le conseguenze vengono gestite, segnatamente con coloro che riteniamo responsabili di questa gestione e quindi “colpevoli” del nostro disagio, della nostra difficoltà e dei danni che subiamo.
Tuttavia, se è vero che abbiamo il diritto di lamentarci per come vengono gestite le cose (magari indicando anche soluzioni alternative senza limitarci a frignare), non abbiamo invece il diritto di credere che esista una soluzione magica che eviti contemporaneamente tutti i disagi, i rischi e i danni; se cadiamo nella trappola di crederlo nessuna soluzione -fosse anche la migliore del mondo- ci soddisferà mai. Purtroppo in una situazione come questa, le tre variabili sono spesso inversamente proporzionali tra loro: se vogliamo ridurre i rischi, siamo costretti ad aumentare i disagi o addirittura a tollerare danni maggiori; se vogliamo ridurre i disagi e i danni, dobbiamo accettare rischi maggiori. E comunque non ridurremmo mai il rischio a zero. E’ una questione di compensazione, un cocktail a dosaggi variabili, cercando di volta in volta di adattare l’equilibrio tra le diverse componenti al mutare della situazione, all’incremento o al decremento dei contagi e al livello di responsabilità dei comportamenti dei cittadini.
Niente è facile quando si è in difficoltà e ogni critica può essere utile solo se orientata a trovare soluzioni migliori.
Quando piove nessun ombrello ferma la pioggia e fa tornare il sole, ma non è un buon motivo per maledire tutti gli ombrellai e continuare a bestemmiare per la pioggia. Si vive arrabbiati e ci si bagna di più.