Prima di passare alle riflessioni sui temi ?strutturali?, qualche considerazione su due temi emersi nella prima parte dell?articolo di Torella: ?Tra fascismo ed antifascismo?.
Parlare di a-fascismo ritengo sia riduttivo, in quanto sarebbe più corretto parlare di a-totalitarismo: bene hanno fatto i due maggiori partiti del paese a prendere le distanze dagli ?ismi? di qualunque direzione e colore. E la loro comune radice etimologica (demo e popolo), se correttamente intesa e praticata, unitamente a condizioni storiche del tutto diverse, dovrebbe porre al riparo da nostalgici ripensamenti.
Il consenso che riceve l? ?io lavoro?. L?uomo è mosso da bisogni che progressivamente vanno dalla mera sussistenza, alla sfera intellettuale, a quella spirituale. Difficilmente chi è attanagliato dai problemi della vita di tutti i giorni accede agli interessi superiori. La crisi economica mondiale anche in Italia ha aumentato il numero di coloro che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese: in queste condizioni se c?è un ?cavaliere?, bianco o rosso che sia, che, con la politica del fare, prospetta la soluzione dei loro problemi, non può non raccogliere consensi, tanto più ampi quanto maggiore è il disagio sociale. Il problema nasce se e quando questa politica non dà i risultati che sono nelle attese della gente.
Venendo ai 3 temi strutturali prospettati, li dividerei in due filoni: il tema del ?distacco dalla società?, che riguarda l?analisi del presente e i possibili interventi di breve-medio periodo, e quello della ?scuola? e del ?ricambio della classe dirigente? che va riportato nel tema generale della formazione, i cui frutti si potranno avere solo nel lungo periodo.
La responsabilità del distacco tra politica e società ricade prevalentemente sulla classe politica: il vero rapporto con la gente è spesso limitato al breve periodo della campagna elettorale e, una volta raggiunto l?obiettivo, la politica si arrocca e la res publica viene concertata e discussa nell?ambito dei palazzi del potere o nelle sedi dei partiti. Fino alla successiva tornata elettorale. Le istanze e gli umori della gente vengono nella migliore delle ipotesi raccolte e vagliate sulla base di sondaggi, che non fanno che aumentare il senso di distacco. Riterrei necessario che la politica risolva questo problema avvicinandosi concretamente alla gente, integrando l?attività dei politici ?di professione? con persone già inserite attivamente nella società, in grado quindi di cogliere i problemi perché li vivono sulla loro pelle, e che siano mosse disinteressatamente da motivi ideali.
C?è il problema di trovarle e di formarle (e qui si innesca il tema del rinnovo della classe dirigente): ma sono tanti i giovani, già attivi nel mondo del lavoro, che desiderano spendere parte del loro tempo per contribuire al bene comune con un impegno politico o sociale. Le scuole di politica rivolte ai giovani possono svolgere un ruolo fondamentale nell?individuazione e nella preparazione di nuovi leader.
La formazione, in senso lato in quanto oltre a quella scolastica di base occorre considerare quella permanente nel mondo del lavoro, indispensabile se desideriamo essere all?altezza delle sfide che la competizione internazionale sempre più aspra impone, apre delle problematiche vaste e profonde.
Sulle nuove generazioni e sulla loro formazione risiede il nostro futuro: se il seme è buono, anche il frutto lo sarà. Nell?intervento della scorsa settimana ho avuto modo di dire che la formazione dovrebbe essere olistica, capace cioè di integrare armoniosamente l?istruzione tecnica con l?educazione dell?individuo come essere sociale, portatore dei valori peculiari propri della società civile.
I soggetti interessati al processo di formazione sono la scuola, la famiglia e, come giustamente rilevato nell?articolo, il sistema mediatico.
Questo presuppone la definizione di reciproci ruoli e competenze, e la capacità di portare avanti un progetto formativo: ma insegnanti e genitori sono preparati? Forse si, ma viene qualche dubbio quando un insegnante non pratica i valori che dovrebbe trasmettere o finge di non vedere gli alunni che si fanno, o i genitori prendono le difese di un figlio che si comporta in modo asociale, e magari picchiano l?insegnante che lo riprende. Nessuno può trasmettere valori che non ha, e per questo qualsiasi progetto formativo non può che essere di lunga scadenza, perché sono interessate più generazioni. Ho avuto occasione di discutere di questi temi in famiglia e mio padre, che ha frequentato un liceo romano negli anni ?50, mi raccontava che i suoi insegnanti, quasi tutti attivamente impegnati nella resistenza romana, erano prima di tutto portatori di valori e maestri di vita per gli alunni. E quando entravano in classe trasudavano autorevolezza e rispetto. Quanti insegnanti oggi sono maestri di vita?
Sulla famiglia le possibilità di intervento sono limitate, ma per il sistema scolastico sono possibili. Occorre migliorare la qualità della scuola pubblica, senza nulla togliere a quella privata, rendendola più efficiente e con un corpo insegnante meglio preparato, più considerato, economicamente soddisfatto; recuperare il rispetto dei reciproci ruoli e la correttezza dei rapporti (sia a sinistra che a destra dovrebbe chiamarsi disciplina; senza disciplina interiore non si va molto lontano); ristabilire un sistema meritocratico per docenti e alunni (ancora oggi stiamo pagando i guasti del 6 politico?) garantendo a tutti, con sostegni pubblici, le stesse possibilità indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali.
Il sistema mediatico, la TV in particolare, ha assunto un ruolo importante nel processo di formazione, e purtroppo la qualità dei programmi quasi mai è all?altezza del compito. Ed è un cane che si morde la coda: i programmi sono scadenti non sono portatori di valori (quando non di veri e propri disvalori?se tutti vogliono fare le veline o partecipare a stupidi telequiz che possono procurare facili guadagni, chi pensa a mandare avanti questo paese?) e quindi non contribuiscono a incrementare il livello socio culturale; il palinsesto viene deciso, per ragioni commerciali, con il criterio dell?audience, che riflette un livello culturale sempre più basso, e così via. Almeno la TV pubblica dovrebbe esercitare un ruolo più attivo e incisivo per una vera azione formativa sulla società.
Sono temi di vasta portata e di tempi lunghi. Ma penso che ognuno di noi possa contribuire a cambiare le cose con piccoli passi a costo zero.
Spesso per turismo o per lavoro (ora molto meno, e le motivazioni vanno fatte risalire alla scarsa propensione alla meritocrazia delle grandi imprese, soprattutto a capitale pubblico; ma questo esula dall?argomento?) sono all?estero, dove spesso provo un senso di disagio. In tutti i miei interlocutori traspare l?orgoglio e il senso di appartenenza al proprio paese. Solo io sono figlio di quel paese dove si fanno le cose ?all?italiana?. E questa frase è spesso sulla bocca di chi ricopre incarichi di responsabilità o, peggio, istituzionali. Possibile che a noi orgoglio e senso di appartenenza vengono fuori (unitamente alla bandiera) solo quando suona l?inno di Mameli per la vittoria ai mondiali di calcio o alle olimpiadi? Bandiamo dal nostro vocabolario la frase ?all?italiana? nel senso dispregiativo che gli viene dato e siamo orgogliosi di noi stessi e del nostro paese in tutte le occasioni. Il recupero dei valori può nascere anche da questo.