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Centocinquanta anni fa Giulio Verne pubblicava “Il giro del mondo in 80 giorni”. Chi, da ragazzo, lo ha letto ricorderà certamente le avventure e le sfide che Phileas Fogg si trova ad affrontare avendo scommesso ventimila sterline, con i suoi amici del club, che sarebbe riuscito a completare il giro del mondo in soli 80 giorni. Malgrado il suo impegno e il suo coraggio, Mr. Fogg non ce la fa -per pochissimo- ad essere di ritorno a Londra entro la data stabilita e accetta tristemente di aver perso la sua scommessa e tutti i suoi averi per poi scoprire che, nel suo continuo viaggiare verso oriente, aveva “guadagnato” un giorno e può così vincere la sua sfida.

La storia mi è tornata in mente seguendo, la settimana scorsa, il giro del mondo (letterale, non per modo di dire!) che ha compiuto il nostro presidente del consiglio. In soli cinque giorni, tra il 16 e il 21 maggio, Giorgia Meloni ha partecipato al vertice del Consiglio d’Europa a Reykjavik (Islanda), ha sostato alcune ore ad Anchorage (Alaska) e ha poi raggiunto Hiroshima (Giappone) per l’impegnativo G7 “allargato” ai vertici UE e -in una sessione speciale- al presidente ucraino Zelensky. Decollata dal Giappone ha sostato ad Astana (Kazakistan) per poi atterrare in Emilia Romagna, infilare gli stivali  e verificare di persona i danni provocati dall’alluvione.

Fino a non molto tempo fa, il lavoro del presidente del consiglio era soprattutto di politica interna: la gestione degli equilibri nella squadra di governo e del rapporto dialogico con il parlamento nella attività legislativa. Lo scenario internazionale ha sempre avuto il suo peso, ma la sua gestione era prevalentemente delegata al ministro degli esteri. Negli ultimi anni le cose sono sostanzialmente mutate: il ruolo del presidente del consiglio si è esteso e personalizzato in misura rilevante, dalla gestione diretta dei rapporti internazionali all’attività sostanzialmente legislativa del governo stesso che -attraverso l’uso costante dei decreti legge e del voto di fiducia- costringe sempre più spesso il parlamento a fare la curva da stadio che applaude o fischia senza incidere efficacemente nella elaborazione dei provvedimenti.

Vedendo il presidente del consiglio fare il giro del mondo in cinque giorni e discutere con Biden, Macron, Sunak e Von der Leyen ho pensato a quanto sembrano lontani i tempi in cui si esaltava la sovranità contrapponendola alla collaborazione internazionale, si ironizzava sul “ce lo chiede l’Europa” e si ipotizzava di uscire sdegnosamente dall’euro. 

Come si cambia quando bisogna decidere e non solo criticare! Come si cambia quando i nostri problemi devono trovare posto in uno scenario più grande e diventa obbligatorio recuperare il senso delle proporzioni! Immagino che effetto debba fare -mentre si discute al Consiglio d’Europa o al G7- leggere sul cellulare le focose affermazioni di chi sta sbraitando perché si parli del “suo” ponte e gli si dia almeno un Tg! Un po’ come passare dal mare aperto al cortile di casa.

Nel racconto di Verne, il protagonista -viaggiando verso est- guadagna un giorno che si rivela risolutivo; non vorrei che Giorgia Meloni, facendo il suo giro verso ovest, lo abbia perso…, ma forse è solo un sospetto alimentato dal fatto che Verne era francese e quindi -si sa- deve avercela con noi.