Sono passati molti anni ( il 21 settembre saranno ben quattordici) dall?assassinio di Rosario Livatino e pochi di meno dalla pubblicazione de ?Il giudice ragazzino? , il libro di Nando dalla Chiesa, che ancora oggi mantiene intatti la sua importanza, completezza e problematicità.
Il piccolo volume, edito da Einaudi e oggetto di un altrettanto buon film diretto da Alessandro di Robilant, racconta la storia del giovane magistrato ucciso dalla mafia nel periodo forse più drammatico della lotta alla mafia operata dal pool di giudici siciliani voluto da Giovanni Falcone.
Il libro di Dalla Chiesa però non si limita a raccontare la storia di un uomo votato al servizio dello Stato, ma mescola insieme alla vicenda personale del giovane l?analisi socio-culturale della mafia, della Sicilia, più in generale dell?Italia.
L?equilibrio costante tra lo stile rigoroso e circostanziato della saggistica e il tono emozionato della biografia permettono all?autore, ma anche al lettore, una riflessione dura, ma reale, su una stagione importantissima della recente storia italiana.
Sono anni di mafia, certamente, ma anche anni di corruzione, di connivenze tra potere politico, potere economico e un fenomeno sanguinario ma di lunga tradizione come la mafia, capace però di modificarsi, modernizzarsi fino al punto di entrare nelle stanze e nei luoghi del potere. Su questo sfondo, si muovono realmente uomini coraggiosi, tra i quali questo giovane, timido ma risoluto magistrato; un uomo, innanzitutto, Rosario Livatino con una precisa posizione relativamente al proprio lavoro: un impegno, di più una vocazione, certamente espressione della propria coscienza.
Una posizione , quella del giudice Livatino, ben delineata, scevra da qualsiasi possibile dubbio, incrinatura o ? ancora peggio ? zona d?ombra: l?esercizio di una funzione ben al di là di un orario o dina sede di lavoro, piuttosto come stile di vita, come precisa e puntuale posizione di fronte alla infinita gamma di relazioni sociali.
A ben vedere, questo sembra suggerire l?autore, se il termine ?giudice? venisse sostituito da una qualsiasi altra professione, il risultato non dovrebbe cambiare: la chiave per un proficuo sviluppo di una società sta proprio nella scelta operata da ogni uomo in ogni momento della propria giornata, una scelta compiuta di fronte a sé e di fronte agli altri membri della stessa comunità; in questo senso una scelta propriamente ?civile?.
Anticipando le terribili uccisioni dei suoi più illustri colleghi, Falcone e Borsellino ( senza dimenticare gli assassini del generale dalla Chiesa, padre dell?autore, e di don Pino Pugliesi), ma anche le drammatiche indagini del filone ?Mani Pulite?, la morte, ma ancor di più l?operato di questo giudice, imposero un?attenta riflessione sul ruolo del magistrato, ma ancor di più sul contributo di ogni singolo cittadino alla costruzione di una società contraddistinta da giustizia e legalità, al di là di falsi clamori o polemiche il più delle volte inutili, talvolta invece costruite ad arte.
Questa la lezione che si evince dal libro e dall?esperienza di Rosario Livatino, un ammonimento sul modo stesso di porsi di ogni individuo in quanto cittadino e in quanto uomo; Rosario Livatino deve averlo capito bene, ogni giorno della sua pur breve ma veloce carriera di magistrato, perché questo voleva soprattutto e solo essere: non un eroe, non un volto da dare in pasto ai mass media; niente di tutto ciò.
Rosario Livatino: un magistrato, un uomo di Stato, un cittadino.