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Il principio di realtà segna il limite fra quello che il nostro sentimento (o, più spesso, risentimento) vorrebbe dire, fare, raggiungere e quello che le condizioni reali ci consentono concretamente di ottenere.
Molto spesso quello che vorremmo -indipendentemente da quanto lo consideriamo giusto e determinante- non coincide con quello che realisticamente possiamo raggiungere. Quando decidiamo di ignorare questo limite finisce sovente che ci facciamo del male, facciamo del male ad altri e -non di rado- otteniamo un risultato opposto a quello che desideravamo.
Dopo la tragica aggressione dell’ala militare di Hamas il 7 ottobre scorso sento ripetere da ogni parte che occorre “distruggere” Hamas: una reazione sicuramente comprensibile considerata -da chi la propone- giusta, indispensabile e determinante.
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha spiegato che l’operazione si articolerà in tre fasi: distruzione delle infrastrutture di Hamas, eliminazione delle sacche di resistenza e superamento delle responsabilità di Israele su chi vive a Gaza. Mi sembra però che resti sospesa la domanda fondamentale: è possibile – fisicamente, politicamente ed economicamente- eliminare Hamas ?
Nell’immaginario di molti “Hamas” è percepito come un’organizzazione terroristica costituita da un gruppo di estremisti facinorosi ossessionati dall’idea di distruggere Israele e dediti ad organizzare attentati. Se così fosse avrebbe certamente senso l’espressione “distruggere Hamas”: si tratterebbe infatti di identificare i membri del gruppo, localizzarli e distruggerli per evitare che proseguano nella loro criminale attività; la loro eliminazione farebbe parte del novero degli obiettivi che è possibile perseguire e raggiungere.
Ma la realtà non corrisponde all’immaginario: Hamas è certamente un’organizzazione terroristica ma è anche tante altre cose, la sua natura è decisamente ibrida: ha un’ala politica che funziona come un partito, un governo strutturato che gestisce ospedali, scuole, trasporti, poste e una sorta di corpo diplomatico che cura i rapporti con gli alleati internazionali. Hamas ha ormai da anni una presenza molto visibile in Qatar (dove ha sede il suo Politburo), in Turchia e in Libano, paesi in cui mantiene degli uffici, dei portavoce ufficiali e dove organizza conferenze e meeting. Hamas dispone inoltre di cospicui finanziamenti e donazioni da molti paesi (primo fra tutti l’Iran) nei quali la politica e la religione sono estremamente intrecciate e -finanziando Hamas- si accreditano come protettori del popolo palestinese.
Torna dunque la domanda di partenza: è possibile – fisicamente, politicamente ed economicamente- eliminare Hamas? Chi e cosa bisognerebbe eliminare? In quanti paesi? E -soprattutto- l’eliminazione di alcuni soggetti, di alcune infrastrutture e di alcune localizzate “sacche di resistenza”, eliminerebbe il consenso -interno ed internazionale- che sostiene, finanzia e legittima la leadership di Hamas nella galassia palestinese? Se così non fosse, questa apparente eliminazione finirebbe per ottenere l’effetto contrario, rafforzando quel consenso e quel sostegno.
Si ripete spesso che “Hamas non rappresenta il popolo palestinese” ed è sicuramente vero (soprattutto in relazione alle atrocità compiute dall’ala militare), forse allora -allo scopo di fiaccarne l’attività e il prestigio- sarebbe certamente più efficace che la comunità internazionale favorisca e sostenga alternative credibili di rappresentanza politica, in assenza delle quali Hamas continuerà ad essere l’unico e inaffidabile collettore del disagio palestinese.
E’ comprensibile l’esigenza -da parte di Israele- di reagire con determinazione e visibilità, ma illudersi che la reazione durissima e cruenta sulla popolazione di Gaza sia un efficace deterrente per il futuro e ottenga come risultato l’eliminazione di Hamas temo non sia né ragionevole, né utile alla sicurezza di Israele stesso.
Il limite del possibile vale per tutti, anche per i carri armati e l’aviazione.