Cos?è un partito: la domanda è stimolante, soprattutto nel momento in cui l?Italia sta assistendo alla nascita di un ?nuovo partito?, o di un ?partito nuovo?, come preferiscono definirlo i suoi fautori. Data la vastità delle definizioni, proporzionale del resto alla sua astrazione, proverei a ridefinire la questione in questi termini: perché nasce un partito? Perché un gruppo di donne e di uomini decide di dar vita ad un soggetto politico che, com?è naturale in una democrazia rappresentativa, ambisca ad avere una qualche parte nel governo di un Paese?
Porsi questi interrogativi nel momento in cui, dopo lungo travaglio, il Partito Democratico sta finalmente venendo alla luce, può non essere inutile. Soprattutto se ciò avviene contestualmente alla diffusione di un clima di sfiducia nell?attuale classe politica che sta investendo i partiti e con essi la politica nel suo insieme, contagiandosi pericolosamente anche alle istituzioni democratiche.
Eppure la sensazione è che la risposta sia proprio in quel sentimento di antipolitica a cui Grillo, e prima di lui Stella e Rizzo, devono la loro improvvisa e del tutto inaspettata fortuna.
Un partito nuovo nasce per rappresentare persone, gruppi e categorie nuovi. Per esprimere posizioni, bisogni e interessi che sino a quel momento non hanno trovato voce né capacità organizzativa.

Un partito nuovo nasce insomma per rispondere ad una crisi di rappresentanza, quale, interpretando, sta appunto soffrendo almeno una parte della società italiana. E mi pare questa una condizione ineliminabile, che persiste tanto al compianto ?crollo delle ideologie?, quanto alle rapide trasformazioni sociali che sembrano aver incrinato il rapporto di stretta dipendenza tra classi sociali e orientamenti politici. Né la cosiddetta mobilità dell?elettorato, il voto accordato sulla base di un semplice programma o di interessi contingenti, può arrivare a negare questa banale evidenza: un partito è espressione di una parte; una parte della società che è chiamato a rappresentare e di cui deve essere rappresentativo.
Detto questo e tornando con i piedi per terra, a pochi giorni dalle primarie nutro ancora due grandi perplessità sul futuro del Partito Democratico.
La prima riguarda proprio la sua missione di partito: vale a dire chi saranno le persone, i gruppi e le categorie che vorrà rappresentare. Per quanto ampio, trasversale e de-ideologizzato che lo si voglia immaginare, mi chiedo ad esempio come potrà rappresentare al tempo stesso gli interessi di un?impresa e dei suoi lavoratori; il lavoro dipendente e quello autonomo, stabile e precario; e ancora gli interessi dei pensionati e quelli delle future generazioni; senza contare la difficile opera di mediazione che sarà chiamato a svolgere, sui cosiddetti temi eticamente sensibili, tra gli orientamenti culturali di un elettorato che da questo punto di vista risulta già oggi davvero composito.
Ne consegue la seconda osservazione, a proposito dell?effettiva rappresentatività dei futuri esponenti del Pd. Non sono pochi, va detto, i candidati alle prossime primarie che provengono dal mondo della società civile, da esperienze professionali o di impegno sociale che certo potranno aiutare a ridurre la distanza tra la politica e cittadini. Ma com?è ampiamente noto, nella maggior parte delle liste che sostengono i cinque candidati alla segreteria, si scorrono i nomi di gran parte dell?attuale classe politica Ds e Margherita: fatto questo che non aiuta né l?immagine né la sostanza di partito nuovo (né quella di nuovo partito).
Non potendo concludere con tanto pessimismo, azzardo un suggerimento molto pratico. Guardandomi intorno, sbirciando nelle piazze di Grillo e tra gli scaffali delle librerie dove ?La casta? si è venduto come un best-seller, vedo tanti giovani, presumibilmente precari, atipici e sostanzialmente insoddisfatti del ruolo che la società italiana riserva loro; e poi vedo tante donne, giovani e meno giovani, che hanno sulle spalle famiglie troppo pesanti da sostenere o che, consce di questa realtà, rimandano o rinunciano ad averne una. E vedo anche tanti immigrati costretti a lottare contro le difficoltà del lavoro, della lingua, della burocrazia e del pregiudizio del Paese ?ospitante?.
Loro, ne sono certa, sono in cerca di rappresentanza.