E così oggi alle 13 arriveranno le lettere di dimissioni degli uomini di Fli dalle cariche di governo.
Incerte le reazioni, incerto il futuro politico di questa maggioranza (?) ormai decisamente allo sbando.

Al di là delle dichiarazioni muscolari del premier che ieri ha affermato che “andremo avanti a governare con la fiducia che ci verrà data al Senato”, laddove per la Camera “se non ci verrà data, andremo a votare”.

Non è secondario ricordare che nella storia della repubblica italiana un fatto simile si è verificato negli anni ’50 solo in due circostanze e per ragioni tecniche. Precisamente nel 1953 e nel 1958, quando lo scioglimento del Senato ebbe lo scopo di parificare la durata in vita dei due rami del parlamento, che allora non era omogenea (lo è diventata dal 1963).

Di fronte a una esplosione di soggettività simile a quella manifestata dal premier, è inevitabile che si guardi con fiducia sempre crescente (in certi momenti quasi filiale) alla figura del capo dello Stato, unico vero attore super partes, in grado di garantire l’effettiva legittimità delle scelte da intraprendere.

Venerdì scorso, durante la cerimonia di inaugurazione del nuovo anno accademico, dinanzi alle parole del presidente dell’accademia dei Lincei Lamberto Maffei, “l’Italia è un Paese che soffre il sonno della ragione”, Napolitano ha opposto un laconico no comment (“ho ascoltato come voi, ma non faccio alcuna dichiarazione”). Impossibile e insensato far sbilanciare il presidente. Figuriamoci poi aggirarlo nel processo decisionale come -di certo inavvertitamente- sembra aver pensato di poter fare il nostro presidente del consiglio.

Perché la risposta alla eventuale crisi del governo è nella costituzione. Al di là dei desiderata espressi da chicchessia (comunque smentito, in modo trasversale, dai pareri di eminenti costituzionalisti di ogni orientamento politico).

L’articolo 88 della costituzione pone le garanzie e fa muro contro ogni arbitrarietà. In caso di caduta del governo sarà il presidente della Repubblica a decidere le sorti della legislatura, sentite le camere e in considerazione dell’utilità del Paese.

Gli ultimatum scomposti dei politici -in questo caso più che mai- sono parole vuote. Tanto più in un momento, come quello attuale, in cui i cittadini tornano invece a chiedere a gran voce il rispetto delle regole, come sembrerebbe testimoniare anche il risultato “radicale” emerso ieri dalle primarie del centrosinistra di Milano.

La domanda da porsi a questo punto è: quanto vorrà ostinarsi questo governo (quel che ne resta) ad aggiungere anomalie alle anormalità?