I mass media spesso parlano di immigrazione come di un?emergenza da affrontare e risolvere, dando così una visione generica, approssimativa e mendace di un fenomeno ben più complesso che oltre a presentare aspetti di problematicità offre molteplici possibilità di crescita e arricchimento per il nostro paese.
I più indifesi fruitori di un?informazione di questo tipo sono i giovani, i veri protagonisti di una società che cambia, si trasforma e cresce grazie anche alla presenza sempre più significativa di persone straniere.
Facilmente influenzabili da visioni estremistiche e semplificative, gli adolescenti trovano con difficoltà gli strumenti critici per separare ciò che è vero dal luogo comune. Rischiano così di fare generalizzazioni e approssimazioni su un tema sfaccettato come quello delle migrazioni, con cui inevitabilmente si devono confrontare nel loro quotidiano.
A differenza dei loro genitori hanno continui contatti con persone di origine straniera: a scuola, nei quartieri dove vivono, nei locali che frequentano la presenza di immigrati è sempre più significativa. Nonostante questo solitamente i giovani, si limitano a incontri sporadici o a una conoscenza superficiale con i loro coetanei immigrati. Momenti, questi, non certamente sufficienti a gettare le basi di un vero dialogo tra persone di culture diverse che insieme siano in grado di costruire una società aperta e pronta ad accogliere le differenze culturali come occasioni di crescita e non come ostacolo da superare.
Dall?esperienza fatta in questi anni con il Progetto Finestre, si è notato come molti tra gli adolescenti che provengono da famiglie agiate continuano a percepire l?immigrazione con indifferenza e con un certo distacco. La loro esperienza di conoscenza di persone straniere, in molti casi, si limita alla colf che pulisce le loro case, alla baby sitter o al garzone del bar. Insomma persone che interagiscono con la loro esistenza perché funzionali ad un loro bisogno. ?Io non ho nulla contro gli stranieri, i miei genitori hanno assunto una signora rumena per assistere mia nonna. Nel suo paese faceva l?architetto, ma ora qui non lo può più fare, del resto già ci sono tanti architetti italiani senza lavoro? sostiene Lucia, studentessa del V ginnasio in un liceo privato di Roma.
Diverso è invece ciò che accade nelle periferie o nei quartieri popolari di una città come Roma o nei paesi vicini, dove molti sono gli stranieri che vivono sullo stesso pianerottolo di famiglie italiane.
Generalmente i giovani di realtà più popolari percepiscono l?immigrazione come un elemento che riguarda le loro vite e con cui confrontarsi ogni giorno. Spesso però gli immigrati vengono percepiti come una minaccia: ?Mi hanno rubato il motorino, sono sicuro, sono stati loro! Vengono in Italia solo per rubare, non vogliono andare a scuola e tanto meno lavorare? sostiene Andrea, studente di un istituto professionale di Ferentino Supino (Frosinone).
In entrambi i casi, anche se in contesti e situazioni diversi e con le dovute eccezioni, alla base di tali convinzioni c?è una scarsa conoscenza del fenomeno migratorio: se ne ignorano le cause e non si immagina il dramma di chi vive l?esperienza dell?esilio.
Nel cercare di cambiare questa visione la scuola italiana svolge un ruolo fondamentale. È il luogo deputato alla formazione culturale delle nuove generazioni e per questo non può non investire risorse nel diffondere una cultura dell?accoglienza e dell?integrazione che passi attraverso la conoscenza del fenomeno migratorio.
Tra le tante sollecitazioni in tal senso, significativa è quella contenuta in un importante documento del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI, 23-4-92), in cui ?si chiede in particolare alla scuola di dotare le nuove generazioni di strumenti per combattere, sul piano intellettuale, culturale, etico, religioso e psicologico, quegli stereotipi che esasperano i conflitti ed allontanano le speranze di pace?.
Molti sono gli studenti dalla mentalità aperta, animati da curiosità intellettuale ed umana, nei quali si riconosce una formazione all?accoglienza maturata attraverso esperienze personali, radicata in ambienti familiari o in gruppi di aggregazione in cui la solidarietà è anche stile di vita.
Ma accanto a loro molti restano chiusi su solide posizioni di difesa, di rifiuto, spesso di ostilità. Anche in questi ragazzi non è difficile riconoscere l?influenza dell?ambiente di provenienza. Nei pregiudizi espressi dai ragazzi si risentono i discorsi di famiglia, nostalgie del “come si stava meglio” prima che arrivassero gli extracomunitari, i clandestini, i vu? cumprà? considerati gli unici responsabili di tutte le più drammatiche emergenze urbane, dalla droga alla prostituzione, dal degrado alla micro e macro criminalità.
In tale contesto cerca di inserirsi il progetto Finestre, che attraverso la conoscenza dei rifugiati, tenta di gettare le basi per una nuova cultura dell?accoglienza.
Pensavo che extracomunitari, immigrati rifugiati, profughi fossero tutti sinonimi. Non immaginavo chi fossero i rifugiati e quale dramma avessero dovuto vivere prima di arrivare in Italia, ora lo so e starò attento a non emettere giudizi superficiali, dice Nicola, al secondo anno di un liceo scientifico di Brindisi, dopo aver ascoltato la testimonianza di un rifugiato.