Immagino che neanche Enrico ci si ritrovi nei panni del rivoluzionario. Ma invece lo è davvero.

Io ne sono convinto, e ve lo spiego partendo dalle amare constatazioni di Antonio Polito a proposito della “maionese impazzita” dei partiti al governo, che non sono tre ma almeno sette, con le loro fazioni e correnti (LINK).

Nel Pd agiscono separatamente il gruppo dei “Renzi for president” e l’avversa coalizione del “Tutto tranne Renzi”; più un manipolo di deputati che rispondono direttamente alla Cgil. Nel Pdl i “fittiani” contendono palmo a palmo il terreno agli “alfaniani”, e il consenso va contattato con entrambi (più Brunetta). Scelta civica si è sciolta in due fazioni, per niente moderate nella foga in cui si combattono.” E aggiunge: “Per condurre in porto il vostro provvedimento preferito dovrete dunque fare sette stazioni della via crucis parlamentare”.

Una devastante frammentazione  dei partiti che convive con un imperante liderismo di coloro che approfittano della confusione per rafforzare la propria posizione personale e quella della propria “squadra”.

È in un simile contesto che il premier Letta guida il governo di questo nostro disastrato Paese, con determinazione e prudenza.

E con un atteggiamento profondamente rivoluzionario: concentrandosi esclusivamente nella guida del governo.

Il dinamico, eclettico ed intelligente Enrico che guida l’Arel, che si presenta temerariamente alle primarie, che inventa veDrò, organizza l’Associazione TrecentoSessanta, che ha intorno una brillante squadra di generosi militanti, trova il coraggio di interrompere radicalmente tutti questi legami.

Il suo compito infatti è guidare il Paese. E non invece, secondo il solito costume italico,  approfittare della posizione del momento per rafforzare la propria squadra, magari in vista di lotte future per garantirsi la continuità al potere.

E questa, per la nostra politica, è una vera rivoluzione.

Percepisco alcun e amarezze in qualche compagno di viaggio, che, dopo aver condiviso le fatiche della “lunga marcia”, si attendeva magari di condividere responsabilità di governo o nell’amministrazione.

Ma questi sono i costi di una rivoluzione. E io sono orgoglioso di averne fatto parte e mi auguro che Enrico trovi la forza di non mollare.