Sabato pomeriggio ho trascorso tre ore alla stazione centrale di Milano in compagnia di bambini siriani e dei loro genitori, provati dalla mancanza di acqua, di igiene, di pannolini, malgrado il lodevole impegno dei volontari. Poco più in là decine di eritrei, sudanesi ed altri africani. Centinaia di persone in transito verso la Germania e altri paesi del nord Europa temporaneamente bloccate in stazione a causa della sospensione degli accordi di Schengen decisa per garantire sicurezza al G7.
Senza questa sospensione, di queste persone in attesa (dolorosa e indecorosa) a Milano, così come delle trecento fermate a Ventimiglia e di quelle “rimosse” dalla Stazione Tiburtina di Roma, non avremmo neppure sentito parlare, perché avrebbero fatto parte di quelle decine di migliaia (oltre centomila lo scorso anno!) che non hanno nessuna intenzione di restare in Italia e provano a presentare in un altro paese europeo la loro domanda di asilo, magari un paese nel quale funziona un sistema di accoglienza più dignitoso e non occorre attendere anche 18-24 mesi per avere una risposta.
La capacità di capire le cose che accadono passa anche (moltissimo!) dal senso delle proporzioni e la responsabilità di chi informa dovrebbe farsi carico delle paure che innesca. Tra Milano, Ventimiglia e Roma stiamo parlando di una “emergenza” limitata a poco più di un migliaio di persone bloccate da una circostanza temporanea e anziché cercare di lenirne il disagio e magari approfondire l’insensatezza del regolamento di Dublino che “incatena” i profughi al paese di sbarco, c’è chi così descrive la situazione: “La piena ha raggiunto le città. Dopo aver allagato i campi del Sud e le periferie del Nord, il fiume ha invaso i centri di tutt’Italia. È un’alluvione di disperati. L’esodo biblico di migranti non trova più sbocchi nemmeno alle frontiere, dove i Paesi confinanti hanno alzato gli argini senza preoccuparsi del fatto che – nella piena – sta affogando anche l’Europa” (QUI).