Il caso più eclatante, quello che fa capire quanto l?emittenza sia il Grande Malato della democrazia italiana, è quello di Centro Europa 7. Un?emittente sconosciuta, e tale destinata a restare anche se ha tutte le carte in regola per divenire il vero terzo polo televisivo. Ha regolarmente vinto la concessione delle frequenze, ma non può utilizzarle. Gliele occupa, indebitamente, la concorrenza, che si chiama Rete 4. Parafrasando Humphrey Bogart: è la prepotenza, bellezza, e non ci puoi far niente. Altro che libero mercato. Altro che garanzia della libertà d?espressione.
Da oltre 20 anni il sistema radiotelevisivo opera in una situazione di assenza di legalità. Una illegalità evidente, non fosse altro perché accertata ripetutamente dalla Corte Costituzionale, e di fronte alla quale nessuno ha avuto la forza di fare molto: né quello che viene definito tecnicamente il ?legislatore ordinario?, né le istituzioni preposte.
L?enorme potere che la televisione concede a chi lo controlla ha spinto il legislatore a farla rientrare tra i servizi pubblici essenziali aventi carattere di preminente interesse generale (art. 43 Cost.), il cui controllo ed esercizio sono stati affidati, come accade anche negli altri paesi europei, fin dall?inizio allo Stato, attraverso una società per azioni di proprietà pubblica: la RAI che è controllata dal Parlamento, i cui presidenti ne nominano il Consiglio di Amministrazione. La Commissione parlamentare di vigilanza, composta da parlamentari in rappresentanza di tutti i gruppi politici presenti in Parlamento, formula gli indirizzi e ha poteri di gestione diretta. Questo riguarda il servizio pubblico. Le cose, storicamente, sono cambiate quando intorno alla Rai si è andato costituendo, con il passare degli anni, un assetto di televisioni private che vede nelle tre reti del gruppo Mediaset il suo principale concorrente. La questione è stata fotografata da due pronunciamenti della Corte Costituzionale. Nel 2002 l?Alta Corte ha messo nero su bianco: ?la formazione dell’esistente sistema televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze, al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell’etere?. Ancora prima, nel 1994, aveva affermato che ?non è consentito ad un medesimo soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale?, e definito il regime normativo della legge n.223/90 contrario alla Costituzione italiana, pur essendo un ?regime transitorio?. La legge 223/90 è la Legge Mammì, quella che portò a suo tempo la sinistra della Democrazia Cristiana ad uscire dal governo, per protesta.
Nonostante questo nessuno, finora, è riuscito a far rientrare il sistema nella legalità. Al contrario, le norme in vigore sono state recentemente dichiarate incostituzionali proprio perché consentono la protrazione del sistema televisivo giudicato incostituzionale.
Da ciò risulta chiara la violazione della libertà di espressione sancita all’art.21 della Costituzione. Sempre nella sentenza del 2002, la Corte Costituzionale ha accertato che la situazione di fatto non garantisce l’attuazione del principio del pluralismo informativo esterno poiché ?l’attuale sistema di radiodiffusione televisiva su frequenze terrestri con tecnica analogica mantiene immutata la caratteristica di ristrettezza delle frequenze e quindi di assai limitato numero delle reti realizzabili a copertura nazionale. Anzi, rispetto a quella esaminata dalla sentenza n. 420 del 1994, la situazione di ristrettezza delle frequenze disponibili per la televisione in ambito nazionale con tecnica analogica si è, pertanto, accentuata, con effetti ulteriormente negativi sul rispetto dei principi del pluralismo e della concorrenza e con aggravamento delle concentrazioni.?
In tale contesto, non può stupire il caso di Centro Europa 7, che è l’unica ad avere ottenuto regolare concessione ma che non può operare per la mancata assegnazione delle frequenze da utilizzare, mentre Rete 4 continua ad operare in assenza della concessione. L?unica speranza deve essere riposta nell?intervento dell?Europa: l’Autorità Antitrust Europea ha aperto una procedura nei confronti del governo italiano.
Resta infine, il problema dei problemi: l?assenza di una regolamentazione del conflitto di interessi riguardante il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, proprietario del gruppo Mediaset e leader della maggioranza parlamentare che elegge i Presidenti di Camera e Senato, ai quali è affidata la nomina del Consiglio di amministrazione della Rai. Difficile che esca qualcosa di buono da questa legislatura. Attendiamo tempi migliori.
È l?emittenza ''il Grande Malato'' della democrazia italiana