Notte. Stazione Termini di venti anni fa. Con un gruppo di amici avevamo deciso di trasformare un po? delle nostre energie giovanili in servizio utile agli ?invisibili? della notte: barboni ? come si diceva allora in maniera forse più cruda ma efficace -, drogati, sbandati. E giravamo per i binari, senza bisogno di baschi blu o pettorine rosse con su stampato ?solidarietà e sicurezza?.
Il mezzo più semplice per avvicinarci alle loro miserie, era la distribuzione di panini, fra l?altro buonissimi, perché preparati con la stessa cura di una mamma. Ci dividevamo in gruppi di due o tre persone e con il pretesto del cibo, ci avvicinavamo ai ragazzi, per lo più drogati, che di notte pascolavano come mandrie sbandate lungo i marciapiedi o raggomitolati contro i muri. Volevamo cercare di aiutarli, pur coscienti della nostra inesperienza, ma forti del nostro entusiasmo, anche solo per riuscire ad ascoltarli, sempre avessero voluto parlare.
Erano giovani come noi che per i più svariati motivi, non avevano più una casa e cercavano un posto per dormire meno freddo e rumoroso della strada.
Una di quelle notti incontrai Anna. Lei dormiva insieme a un gruppo di ragazzi lungo i sottopassaggi della stazione. Ero capitata proprio là, perché un ragazzo che stava vicino a lei, ci aveva visti e con dei gesti aveva attirato la nostra attenzione. Anna aveva bisogno di essere visitata da un dottore, aspettava un bimbo e aveva dei crampi all?addome. Mi avvicinai cercando di farle domande per capire meglio la situazione. ?Lasciami in pace? continuava a dirmi infastidita, mischiando borbottii a parolacce. E se la prendeva anche con il ragazzo che si era impicciato, cercando il nostro aiuto. Non so come riuscimmo a convincerla a farsi accompagnare all?ospedale più vicino e lungo il tragitto cercai di sapere qualcosa di lei, ma niente, solo monosillabi e insulti, mal tollerando la mia ingerenza.
Da quel poco che riuscimmo a ricostruire, incollando i pezzi delle frasi sconnesse, seppi che Anna veniva dalla Puglia dove aveva lasciato, affidandola ai suoi genitori, una figlia di 10 anni e l?una e gli altri non li vedeva o sentiva da tanto tempo. Chiuse la conversazione ripetendomi di lasciarla in pace. Mi infastidiva il fatto di non riuscire a farla sentire in mani sicure. Anna rimaneva sempre indifferente a tutte queste attenzioni, pronta invece a difendersi come se fosse minacciata.
Sembrava un cane rabbioso. Dalla vita evidentemente aveva preso solo calci, ma la cosa che più mi colpiva era che non ti guardava mai negli occhi. Per lei eri solo un fastidioso rumore. Arrivati all?ospedale, una dottoressa di turno, dopo averla fatta spogliare, mi chiamò dicendomi, con una faccia schifata, che le condizioni igieniche della ragazza non le consentivano di visitarla.
Mi trattenni dal risponderle davanti ad Anna che, anche in questa circostanza, era rimasta indifferente con gli occhi fissi al muro, rassegnata ad essere trattata come un animale. Dissi allora alla dottoressa di seguirmi fuori e con molta calma, ma altrettanta fermezza chiesi di visitarla, anche perché, aggiunsi, non mi sarei mossa di un millimetro. Un dottore che era lì vicino, compresa la mia determinazione, prese il posto della dottoressa latitante e visitò lui Anna. ?Amenorrea?, disse uscendo. Anna era fortemente dimagrita negli ultimi mesi e non aveva avuto più il ciclo mestruale. Anche in questo caso Anna non disse nulla, assolutamente indifferente. La mandarono al reparto, dopo averle fatto fare una doccia, grazie all?intercessione del dottore. La lasciai, con la promessa che l?indomani le avrei portato degli abiti puliti. Lei non mi rispose e non si girò a guardarmi, continuava a sentirmi come un rumore fastidioso.
Il giorno dopo la trovai distesa, sempre faccia al muro, in un grande stanzone. E mentre le altre pazienti avevano già familiarizzato tra loro conversando tranquillamente, Anna rimaneva ancora una volta indifferente ed isolata. Quando la chiamai si girò sorpresa e mi sembrò di vedere, anche se solo abbozzato, un sorriso. Iniziai a parlarle come ad una amica, non volevo che le altre signore capissero chi era Anna e perché era lì. Le mostrai gli abiti che le avevo promesso e fra tutti, la colpì particolarmente un maglione rosa fucsia. Le piacque così tanto da farle brillare gli occhi. Ero riuscita a provocarle un?emozione e non mi importava che il motivo fosse stato un banale indumento, perché sentivo che Anna si stava fidando e sapeva che aveva davanti a sè una donna come lei. Finalmente mi chiese come mi chiamavo.
Il mondo che vorrei (2)