Lo rimpiangeremo quel cacciavite. Con questo piccolo, umile quanto utile strumento Enrico Letta annunciava, esattamente un anno fa, che il PD di cui era vice segretario avrebbe realizzato le riforme indispensabili per l’Italia (LINK).
Sì, perché nel ridisegnare gli assetti istituzionali, per non dire economici e sociali, di un paese non si può certo sperare di ottenere qualcosa di sensato procedendo a colpi di “schiacciasassi” (copyright Oscar Farinetti, candidato al dicastero dell’Agricoltura nel toto ministri del prossimo governo Renzi e uomo capace di vendere al chilo, oltre alla mozzarella di bufala, anche il coraggio: “A Natale regala un po’ di coraggio”, strombazzava il claim dell’ultimo libro del patron di Eataly).
Ma questo è un male tutto italiano. L’attesa messianica di un cavaliere di ventura, dell’homo novus, estraneo “agli intrighi di palazzo” e capace perciò proporre riti di palingenesi istantanei, insensibili agli odiosi strepiti delle nomenclature e degli apparati.
Poco importa che indossi il doppiopetto, maschera di cerone e inceda a passi di musichetta (drive in drive in…) o che abbia il volto rassicurante e simpaticone di un ex capo scout. L’importante è che ci prometta una soluzione epocale e sopratutto immediatamente efficace, meglio dell’aspirina, ai problemi atavici, radicatissimi del Paese.
Insomma, che ci sappia prendere un po’ – amabilmente – per i fondelli.
Breve riassunto. Mercoledì scorso il premier Enrico Letta ha presentato a Palazzo Chigi un piano per il rilancio del Paese, “Impegno Italia” (tra i punti, revisione a livello europeo delle regole sulla disciplina di bilancio, superamento del dualismo tra garantiti e precari nel mondo del lavoro, riconoscimento dello ius soli per i minori nati da genitori stranieri e residenti con stabilità in Italia). Possiamo dirlo, ora che sappiamo che purtroppo questo programma non lo vedremo mai attuato? Finalmente qualcosa di davvero innovativo, seriamente progressista, nel senso più onesto del termine (per il progresso).
E invece? Ci ritroviamo, non si capisce bene perché – se non per soddisfare le aspettative degne di un talent show di un pezzo del Paese e gli “istinti cannibalici” di un certo Pd, secondo la definizione sacrosanta di Filippo Andreatta – a discutere di totoministri. Con un premier “ggiovane” in pectore, per il quale qualcuno ha scomodato addirittura il paragone con il Principe di Machiavelli.
Se non altro sono entrambi fiorentini. Mentre il saggio Enrico Letta, il galantuomo Enrico Letta forse avrà avuto il “difetto” di essere pisano, oltre a quello indiscusso di essere una persona preparata e seria (“l’incapacità decisionale è il grandissimo problema del nostro Paese, dobbiamo intervenire per rendere più efficienti le istituzioni. Ci proponiamo di farlo attraverso interventi normativi, non per mezzo di grandi riforme epocali come Brunetta o Bassanini: faremo prevalere l’esigenza dell’efficacia sulla bandiera della politica” ).
Così oggi, come in un eterno gioco dell’oca, siamo di nuovo alla casella di partenza. Perché l’importante, tra urla e lanci di uova, è che non si riesca mai a muovere un passo in questo povero, malandato paese. E dai prossimi giorni, insieme al giovane Renzi, rischiamo di ritrovarci in cabina di regia anche i gioiosi cultori degli schiacciasassi (insieme a qualche altro “illuminato” manager e capitano di industria).
Mi ha fatto male sapere che Enrico Letta ha trattenuto a stento le lacrime quando ha lasciato così immeritatamente l’incarico e mi ha commosso la sua passeggiata silenziosa per le strade di Trastevere, con la mano sulla spalla del figlio.
Posso dire che abbiamo bisogno, mai come oggi, di persone con qualità umane e politiche come Enrico Letta?
Non perdiamo la speranza. Anche il tempo, per nostra fortuna, è galantuomo.