Il Comune di Napoli e quello di Calarasi (Romania) prossimamente firmeranno un protocollo di intesa per affrontare il fenomeno dell?emigrazione di massa dei rom da quella città, e dalla Romania in genere, verso alcune città europee, tra cui il capoluogo partenopeo.
A Calarasi i rom rappresentano il 10% della popolazione. Sono i più poveri tra i poveri, in un paese che ancora soffre le pesanti conseguenze della dittatura: tasso di disoccupazione al 30%, ma soprattutto 33.000 ?bambini delle fogne? che sopravvivono in spaventose condizioni nei sotterranei di Bucarest.
Una delegazione napoletana ha visitato Calarasi per rendersi conto in prima persona della situazione e del perché l?emigrazione punti soprattutto verso l?Italia e Napoli in particolare. Le autorità locali hanno garantito un maggior impegno nel controllo dei flussi, che avvengono per lo più tramite organizzazioni illegali, mentre quelle napoletane si sono impegnate a favorire l?integrazione dei rom rumeni presenti in città, e allo stesso tempo a collaborare per un rimpatrio non forzato ma socialmente garantito.
Una particolare attenzione sarà rivolta soprattutto ai minori, che oggi si trovano agli angoli delle strade di Napoli.
A Roma, qualche settimana fa, si è riunito il Comitato Provinciale per la Sicurezza, che ha – invece – posto l?accento soprattutto sui problemi di ordine pubblico. Questo atteggiamento si inserisce in un quadro più generale di un?interpretazione revisionistica e restrittiva della Convenzione di Ginevra (peraltro sempre più diffusa a livello internazionale), nascosta dietro l?affermazione di un uso strumentale dell?asilo politico. Innegabile che casi del genere possano essersi verificati, innegabile altresì che la Legge Bossi – Fini, eliminando la possibilità di ottenere un visto per la ricerca di lavoro, abbia pesantemente aggravato la situazione. E? anche vero che non infrequentemente gli immigrati, rumeni e non, in mancanza di alternative, possano cadere in giri di illegalità e microcriminalità.
Padre Francesco De Luccia, responsabile dell?Associazione Centro Astalli (ramo italiano del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati), che da più di dieci anni si occupa del fenomeno, dalle colonne del Corriere della Sera smentisce e lancia un grido: ?Proprio i rom rumeni?sono vittime di gravi discriminazioni nel loro paese, che si traduce nell?assoluta impossibilità di sopravvivere con un minimo di dignità e rispetto. Alcuni hanno subito vere e proprie persecuzioni (casa bruciata, detenzione abusiva, maltrattamenti, minacce ecc.), frequentemente perpetrate dalla stessa Polizia di Stato. (?) forse varrebbe la pena anche di ricordare che lo scorso anno la Corte dei Diritti Umani di Strasburgo ha obbligato il Comune di Roma ad accogliere di nuovo e risarcire due famiglie rom rispedite nel loro paese con una brutale operazione di polizia. Si trattava infatti di persone che avevano diritto a vivere in Italia e che in forza delle convenzioni internazionali non potevano essere rimpatriate?.
Certo, sono casi isolati che non annullano la grande tradizione di solidarietà del Comune di Roma, che, tra l?altro, spesso si è avvalso anche della collaborazione del Centro Astalli (si pensi soltanto all?ostello per rifugiati aperto un anno e mezzo fa in via di Villa Spada, nei locali di un vecchio dormitorio per i ferrovieri, messo a disposizione dalle F.S.). Siamo certi che l?Amministrazione Comunale romana non condivide gli entusiasmi, espressi da altre Amministrazioni, a partire da quella regionale, per la Legge Bossi – Fini, pur dovendo rispettarla, trattandosi appunto di una Legge dello Stato. E tuttavia ci sembra che la necessità di rispondere alle esigenze sacrosante di sicurezza dei cittadini stia facendo abbassare il livello di guardia, inducendo qualche malevolo a leggere soltanto come operazione di immagine, per esempio, quella del 25 settembre, in cui sono stati premiati i bambini e gli adolescenti rom che hanno seguito i normali corsi scolastici dimostrando una forte volontà di integrazione e di rifiuto di vecchi schemi di vita.
Il nostro paese ha una lunga storia di rifiuto del razzismo e della discriminazione, ma nell?ultimo quindicennio (a partire dall?esodo ?biblico? degli albanesi e dalla guerra nell?ex Jugoslavia) si sono determinati a livello sociale e culturale generale un irrigidimento e un cambiamento di mentalità. Soprattutto i cittadini con meno mezzi e meno strumenti culturali si sono sentiti minacciati.
L?Italia ha vissuto, forse con un po? di ritardo, una parabola socio-culturale che ha interessato, molto prima di noi, altri paesi europei e l?America. Perfino gli Stati Uniti, terra per definizione di immigrazione, a partire dagli anni ?90 hanno mutato atteggiamento tentando di chiudere le frontiere e cercando il più possibile di emarginare e penalizzare i nuovi immigrati al proprio interno. Ma il sud del mondo, povero e poverissimo, bussa con forza e il processo è, oggettivamente, inarrestabile. Una politica di chiusura e di repressione è storicamente perdente, ineluttabilmente si va verso una società sempre più multietcnica e multiculturale; ci sono molti problemi da affrontare, ma si tratta anche di una grande opportunità. Gli immigrati oggi non godono di una buona immagine, e non ci si rende conto a sufficienza del loro ruolo essenziale nell?economia e nella società.
L?Amministrazione di Napoli ci propone concretamente la possibilità di una politica che coniuga rigore e solidarietà, intesa non nel senso dell?assistenza pietistica, ma in termini di collaborazione attiva alla soluzione di problemi che non sono soltanto degli altri, ma di tutti.
Il Comitato Provinciale per la Sicurezza pone l?accento sull?ordine pubblico mentre Roma e Napoli sono attive verso la solidarietà.