Il multiculturalismo in Germania ha fallito. Questo il senso dell’affermazione rilasciata dalla cancelliera Angela Merkel sabato scorso a proposito dell’insuccesso delle politiche di inclusione sociale rivolte agli immigrati. Tanto che nei Länder sempre più spesso si sente invocare, per porre un argine al fenomeno, il sistema di chiamate “a punti”: un tema cui in Italia siamo ben abituati, essendo da tempo uno dei cavalli di battaglia del repertorio della Lega.

Ma di ingresso a punti parla anche l’ultimo documento sull’immigrazione presentato dall’assemblea nazionale del Pd di Busto Arsizio. Una scelta inconsueta, come dimostrano i commenti non sempre entusiastici che ne sono seguiti.

Al momento non si tratta che di “una riflessione di lungo periodo”, formulata per “uscire dalla logica dell’emergenza e pensare alla società del futuro”. Nessuna panacea, nessuno strumento immediatamente risolutivo di un fenomeno, quello dell’immigrazione, di cui si conosce la complessità, come risulta dalle proposte concrete e urgenti che nel documento del Pd affiancano l’ipotesi “ingresso a punti”: dal progetto di stendere una Carta Europea dei diritti dei migranti, alla instaurazione di accordi bilaterali con i paesi di immigrazione fino all’estensione del diritto di voto amministrativo per i “nuovi italiani”.

L’ammissione a punti, se considerata come un mezzo possibile per rendere più trasparente il criterio di definizione dei flussi migratori, non rappresenta di per sé il sintomo di una deriva pericolosa. La stessa assemblea del Pd non ne ha definito neppure le specifiche pratiche (“ma poi…preferiamo i giovani agli adulti, i colti agli incolti, gli specializzati ai generici, le persone sole a quelle con famiglia? E perché? In che misura?”), mentre ha affermato con forza che l’attribuzione del punteggio debba esercitarsi in funzione di “un metro di giudizio complesso”. Appaiono quindi eccessivi i timori dell’europarlamentare Rosario Crocetta, che dalle pagine dell’Unità (14 ottobre 2010) sostiene che la proposta del Pd, se attuata, possa provocare il “totale blocco delle autorizzazioni agli ingressi nel nostro Paese”.

Diverso è il discorso sui toni con cui il veltroniano Movimento Democratico ha rilanciato in assemblea l’argomento attraverso il deputato Alessandro Maran. Forse per conquistare le simpatie di quella parte di elettori poco inclini ad ascoltare le ragioni della sinistra, Maran ha scelto accenti non troppo dissimili da quelli usati dal Ministro dell’Interno in tema di immigrazione (tanto da meritarsi la definizione ironica di “maroniano democratico”del Foglio di Giuliano Ferrara): “la nostra idea è assicurare, attraverso l’introduzione di un sistema di ammissione a punti sperimentato in altri paesi, che avremo gli immigrati di cui la nostra economia ha bisogno, ma non di più. E gradualmente renderemo più severi i criteri, in linea con le esigenze dell’economia italiana”. Parole che, come ha sottolineato la Commissione Politiche d’Immigrazione del Pd, “sottolineano la necessità di prendere in carico le paure degli italiani”…

Sul tema immigrazione è necessario allora cambiare prospettiva, per coniugare sempre più al concetto di regolamentazione dei flussi quello di cooperazione allo sviluppo. Perché chi è oggi costretto a cercare una possibilità di sussistenza in terra straniera sia messo nelle condizioni di poter vivere al meglio nel suo paese. Scegliendo un approccio “globale”, in cui il contributo alla crescita dei Paesi Terzi non resti solo un fatto di parole, modello Lega (aiutiamoli a casa loro, preferibilmente a costo zero).