Nabeb è una donna eritrea di 37 anni, giunta in Italia con suo figlio, attraversando il Mediterraneo in un’imbarcazione di fortuna.

È una delle poche donne eritree che ha trovato il coraggio di parlare dell’orrore vissuto prima di giungere qui.

 

Come sei arrivata in Italia?

Sono arrivata su un gommone, partendo dalla Libia, come la maggior parte di coloro che scappano dall’Eritrea. I rischi sono molti ma non avevo alternative per mettere in salvo me e mio figlio.

 

Cosa ti ha costretto a intraprendere un viaggio così pericoloso?

Come per molte donne eritree, il mio destino è conseguenza di quello di mio marito.

L’ho conosciuto e sposato in Eritrea, ma ben presto a causa della sua attività politica contro il governo siamo stati costretti a scappare. Abbiamo vissuto 15 anni in un campo profughi in Sudan. Lì è nato mio figlio.

Un giorno dei soldati eritrei sono venuti a cercarci con il preciso intento di ucciderlo: ci sono riusciti senza troppa fatica.

A me non restava altro da fare che scappare con il mio bambino, che allora aveva 6 anni.

 

Puoi raccontarci le tappe del tuo viaggio?

Mi sono affidata a dei trafficanti che organizzano i viaggi verso l’Europa. Approfittando della disperazione della gente come me, chiedono moltissimi soldi e se non sei in grado di pagare in denaro, trovano altre forme di compenso, soprattutto se sei una donna sola.

Ci hanno fatto attraversare il deserto a tratti in macchina, a tratti a piedi. Ho visto nella traversata del Sahara morire di fame e sete donne e bambini. Le nostre condizioni erano disperate.

Per miracolo siamo arrivati in Libia.

 

In Libia cosa è successo?

Appena arrivati i contrabbandieri ci hanno abbandonato e credo abbiano avvisato la polizia libica.

Siamo stati arrestati e condotti in carcere.

È stata l’esperienza più dura della mia vita. Vivevamo ammassati, senza bagni, senza la possibilità di parlare con qualcuno, di capire cosa stesse succedendo.

Ho assistito a violenze e percosse da parte dei militari ai danni delle donne. Facevano tutto senza vergogna, rimanevano lì davanti agli altri detenuti. Non avevano la decenza neanche di nascondersi dagli sguardi dei bambini.

Con gli ultimi soldi che avevo sono riuscita corrompere una guardia per farmi scappare.

 

Perché hai deciso di raccontare tutto ciò?

Gli italiani devono sapere cosa succede in Libia. Come può un Paese democratico come il vostro assistere attonito alla morte di migliaia essere umani colpevoli solo di essere nati nel posto sbagliato?