All?incontro del 6 gennaio a Parigi, alla Maison de l?Amerique latine, il Presidente eletto della Bolivia ha trovato ad accoglierlo un centinaio tra specialisti, accademici, diplomatici, esponenti politici e di organismi internazionali, con gli onori di casa fatti da Bernard Cassen e Giancarlo Summa. Fuori dalla sala, già stracolma, sparsi in tutti i saloni della Maison, nel cortile e persino in strada, centinaia di persone della comunità boliviana francese, quasi tutte dai tratti somatici inconfondibilmente quechua ed aymara. Alcuni muniti della bella bandiera arcobaleno della tradizione aymara. Tutte queste persone erano venute per incontrare ?uno di loro? e per potersi specchiare ?finalmente- nella faccia del Presidente dei boliviani. Nella sua permanenza europea, dopo Cuba e Venezuela e prima di Cina, Sudafrica, Argentina e Brasile, tra le capitali visitate (Madrid, Parigi, Bruxelles) Roma non figurava, quindi l?unica possibilità per ascoltare direttamente dal nuovo Presidente gli impegni del governo che si insedierà il prossimo 22 gennaio a La Paz è stata quella di andare all?appuntamento di Parigi.

Nella riunione Evo Morales ha calcato molto la mano sulla sua appartenenza alla componente indigena della popolazione boliviana: si è praticamente presentato come ?rappresentante? degli indigeni. E?, questa, una versione d?esportazione in quanto in patria egli si è sempre caratterizzato come esponente sindacale e, successivamente, politico: prima leader dei contadini coltivatori della foglia di coca della regione del Chapare e, successivamente, capo politico del MAS, il Movimento Al Socialismo, sigla usata strumentalmente ?in quanto già registrata al Tribunale elettorale- perché in Bolivia, così come in altri paesi latinoamericani, l?iscrizione di un nuovo partito alle liste ufficiali comporta formalità burocratiche di tale portata che spesso induce i promotori, soprattutto quando appartengono alle classi subalterne, a desistere.

Era sempre stato il suo acerrimo avversario Felipe Quispe, El Condor, a rivendicare una sorta di nazione indigena dei boliviani della sierra. Poi, negli ultimi tempi, Evo ha iniziato a recuperare la componente di tradizione ancestrale della propria storia (dall?attenzione alla ?economia comunitaria? ai richiami alla cosmovisione andina) ed a rispolverare, di tanto in tanto, il suo stentato ed elementare aymara, sino a farne un elemento fondamentale della propria proposta politica. Ciò che incarna Evo Morales in questo momento è una vera e propria rivoluzione sociale nel paese andino, e la vittoria al primo turno con il 54% dei voti ne è la dimostrazione. Sarebbe stato probabilmente attorno al 70% se circa un milione di boliviani (ovviamente indigeni) non fossero stati fraudolentemente esclusi dalle stesse liste elettorali, cascame di un apartheid sociale (Boaventura de Sousa Santos la definirebbe esclusione umana) che da secoli marginalizza gli indigeni, fino al 1952 esclusi per legge persino dal diritto di voto. I presupposti di questo sbocco si possono rintracciare nelle durissime lotte dei movimenti sociali e sindacali e, istituzionalmente, nella legge per la participacion popular conquistata meno di una decina di anni fa, in un governo di coalizione, dall?allora Movimiento Bolivia Libre.

Governare per il Presidente Evo Morales non sarà semplice. Escluso da ogni livello della vita pubblica (dall?esercito, salvo i ranghi bassissimi, all?Amministrazione dello Stato), il movimento indigeno rischia di non poter far ricorso, almeno nell?immediato, a competenze e professionalità appropriate. Per non parlare dei cronici livelli di corruzione, che non esonerano il mondo indigeno, esplicitamente e reiteratamente menzionati da Evo, affiancato dal suo consigliere economico Carlos Villegas. Nella trasferta europea quest?ultimo si è dedicato, soprattutto, agli incontri con le grandi compagnie petrolifere presenti in Bolivia, dalla francese Total alla spagnola Repsol alla olandese Shell: a tutte il messaggio è stato ?abbiamo bisogno di voi, continuate ad investire, nazionalizzare non significherà confiscare (difficile, però, intravedere la linea di confine, ndr), ma cambieranno le regole e chi non le rispetterà ne subirà le conseguenze?. A molti è parso un segnale rivolto in particolare alla brasiliana Petrobras, ?di casa? (in tutti i sensi) nell?oriente boliviano, ed a Repsol. Forse non è un caso che nell?incontro di Madrid (la Spagna è, dopo gli USA, il secondo paese investitore in Bolivia) con Zapatero, Moratinos (esteri) e Montilla (industria e commercio), il governo spagnolo abbia annunciato il condono di quasi tutto il debito boliviano, da trasformare in progetti finalizzati all?educazione.

Evo Morales ha riaffermato più volte che la prossima Assemblea Costituente, prevista nel corso del 2006, avrà come obiettivo il cambiamento radicale ma in democrazia (con votos y no con balas) e con la piena partecipazione popolare a cominciare dagli esclusi di sempre, i quechua, gli aymara, i guaranì, ecc. Lo stesso problema della proprietà privata, brandito demagogicamente in campagna elettorale dallo sfidante, il conservatore Quiroga, è affrontato dal Presidente eletto inquadrandolo nell?ambito della diversificazione economica e del riconoscimento parallelo della proprietà collettiva tradizionale delle comunità indigene. Scarsa loquacità, invece, sul tema dei movimenti separatisti delle regioni orientali, di Santa Cruz de la Sierra e di Tarija, roccaforti di Quiroga che, con i propri 48 seggi contro i 53 del MAS, darà battaglia nel nuovo Parlamento. La situazione, nel corso del 2005, si era spinta fino alle soglie della vera e propria guerra civile e occorrerà tutta la sagacia, politica ed indigena, del nuovo Presidente per scongiurarla definitivamente. Occorrerà anche che l?equilibrio con il Vice Presidente il giovane intellettuale bianco, ma più radicale di Evo, Alvaro Garcìa Linera (fino all?offerta di candidatura a ?vice?, distante e critico delle posizioni del MAS) si rafforzi nella concreta azione di governo.

Dell?antiamericanismo di Evo Morales si è molto scritto, così come dell??asse? con Cuba e Venezuela. Forse proprio per ricordare che, così come i concetti di destra e sinistra siano abbastanza astrusi per gli indigeni (il Guatemala post conflitto e gli Stati indigeni del Messico sono lì a dimostrarlo), anche i luoghi comuni sugli Stati Uniti andranno verificati in pratica, nella riunione di Parigi Evo ha riaffermato le critiche agli USA, che ?hanno satanizzato il movimento contadino ed indigeno, tacciandolo di narcotrafficante e terrorista?, ma ha anche aggiunto un argomento alquanto interessante: ?con gli USA vogliamo discutere apertamente e serenamente, anzi dovrebbero anche ringraziarci perché grazie alla forza del movimento indigeno in Bolivia non hanno attecchito né le FARC né Sendero luminoso?. E questo sarà un argomento solido al tavolo delle trattative con la superpotenza che ha fatto della lotta alla produzione della droga (anzi della coca, che di per sé non è affatto droga), anziché di quella al narcotraffico e al consumo, la propria ossessione, tanto da concentrare nel piccolo ?in termini di popolazione- e poverissimo paese andino una Ambasciata con circa 800 funzionari.

Infine, dopo un omaggio alla Pacha mama, la Madre terra, che ?pur saccheggiata in oltre 500 anni di dominio e sfruttamento, continua comunque ad offrire i suoi frutti come le nuove gigantesche riserve di gas da poco scoperte?, Evo Morales ha offerto un commovente ricordo della sua infanzia. Figlio di una famiglia poverissima (sette figli dei quali quattro morti prima di raggiungere il primo anno di età) una delle componenti della propria alimentazione erano le bucce di arance e banane che raccoglieva, come altri bambini, lungo la rotta dei pulman di linea che percorrono l?altipiano. E? questo il nuovo Presidente dal quale tutti i boliviani si aspettano molto.