?Per l?Europa il problema dei prossimi anni sarà l?Islam?: evita i giri di parole Soheib Bencheik, mufti di Marsiglia, davanti ai numerosi studenti intervenuti alla tavola rotonda Islam, identità inquieta d?Europa tenutasi lo scorso 30 settembre a Frascati, in occasione del Varchifestival. Il prof. Felice Dassetto, antropologo all?Università di Lovanio, concorda e rincara la dose: i cosiddetti modelli di integrazione sperimentati dai paesi europei non sarebbero altro che retoriche diverse utilizzate per coprire una sostanziale esitazione delle politiche nazionali e locali davanti a un fenomeno rilevante e complesso. In questi decenni, in realtà, non si è fatto altro che andare per tentativi, percorrendo strade più o meno analoghe e cadendo in errori simili.

Ogni riflessione deve partire da un dato di fatto: l?Islam in Europa è una presenza numericamente importante (secondo le stime, che però non considerano i clandestini e i cittadini europei convertiti, i musulmani nel vecchio continente sono circa 15-20 milioni). È anche opportuno precisare che solo una parte degli immigrati di origine islamica ha scelto di attivare i propri riferimenti all?Islam nel nuovo paese di residenza. I primi musulmani in Europa sono stati ?lavoratori ospiti? – operai, braccianti, manovali – che hanno trovato soluzioni pratiche e immediate per la propria pratica religiosa, attrezzando sale di preghiere di fortuna nelle abitazioni private, ma che non avevano possibilità né strumenti culturali per ?pensare? l?Islam in Europa (e men che meno un ?Islam europeo?). Ancora oggi lo scenario che prevale è quello di piccole comunità di fedeli stranieri, guidate da imam mandati dall?estero, che non riescono a fornire interlocutori allo Stato, alle amministrazioni locali e al mondo della cultura. D?altra parte esiste anche una élite sofisticata, molto ristretta, che domina perfettamente gli strumenti ?occidentali? della comunicazione, ma che dà spesso l?impressione di non rappresentare in alcun modo la realtà presente sul territorio, se non addirittura di ignorala del tutto. In Europa gli intellettuali musulmani sono pochi e la maggior parte di essi sono, a causa della propria storia personale, profondamente distanti dalle questioni religiose.

Abd Al-Haqq Kielan, presidente dell’Associazione islamica svedese, si dedica da una vita alla difficile mediazione tra i credenti musulmani, immigrati e spesso confinati in una profonda emarginazione, e la società svedese, che ancora non ha superato lo shock del multiculturalismo. In Svezia i primi musulmani sono arrivati 50 anni fa: oggi sono 450.000. Una nazione abituata ad una compattezza culturale e religiosa assoluta (non molti decenni fa chi si convertiva al cattolicesimo era costretto a lasciare il Paese!) non poteva che optare per una politica di assimilazione, incoraggiando di fatto gli immigrati a deporre la propria identità per adottarne una nuova. Non è raro in Svezia che un immigrato scelga di cambiare anche il nome, nella speranza illusoria di ?essere come gli altri?. Questo approccio in realtà non ha prodotto altro che cittadini di serie B, senza reali prospettive di progresso sociale e vittime di discriminazioni pesantissime. Nessuno sforzo è stato fatto, infatti, per attenuare il pregiudizio e le discriminazioni nella società: così come per un africano in Svezia è praticamente impossibile trovare lavoro a causa del colore della sua pelle, anche nei confronti dei musulmani sono sempre più frequenti atteggiamenti apertamente discriminatori, in particolare dopo l?11 settembre. ?Bisogna lavorare perché l?Islam in Europa non resti un fenomeno esotico?, sostiene l?imam Kielan, che indica le vie concrete che la sua comunità sta percorrendo da anni: un?intesa con un?Università svedese per la formazione di imam in loco; l?uso della lingua svedese per tutti i sermoni in moschea e l?adozione di una traduzione svedese del Corano; l?impegno costante nel dialogo con tutte le identità religiose del territorio.

?Non le religioni devono dialogare, ma i cittadini?, ha precisato il prof. Dassetto. Ciascun musulmano infatti dovrebbe sentirsi prima di tutto cittadino dello Stato in cui vive: a patto, si intende, che lo Stato stesso gli dia la possibilità concreta di vivere in libertà anche la propria identità religiosa. Rivendica i suoi diritti di francese di fede islamica il mufti Soheib Bencheik, che ha voluto manifestare pubblicamente la propria posizione candidandosi all?Eliseo. Ciò non toglie, naturalmente, che alcuni nodi importanti debbano ancora essere affrontati: in primis quello dello spazio delle religioni nella vita pubblica, ma anche quello, estremamente delicato, delle intese tra Stato e comunità religiose, che sottende la spinosa questione della rappresentanza unitaria di una realtà variegata e plurale. In Spagna, ricorda la moderatrice Farian Sabahi, si è optato per un ombrello di Associazioni islamiche che ha siglato unitariamente un?intesa con il governo spagnolo nel 1992, a cinquecento anni dalla cacciata di ebrei e moriscos dalla Spagna.

?La storia?, ha ricordato Bencheik, ?non può che dividerci. Mia figlia, musulmana nata in Francia, con chi si dovrebbe identificare? Con Carlo Martello, difensore d?Europa, o con il generale arabo da lui sconfitto??. Non è nelle identità incrostate di ideologia, non è sezionando le ?radici? di questa o quella civiltà che si possono compiere progressi che migliorino la qualità della convivenza nelle nostre città e allo stesso tempo difendano la qualità della vita democratica, troppo spesso minacciata in nome di una presunta sicurezza. Ma la strada verso modelli efficaci di integrazione è tutta da percorrere ed è decisamente in salita. Se tutta la vita sociale è fatta di conflitti, quello con l?Islam appare particolarmente minaccioso in una società secolarizzata, che sembra non avere più gli strumenti per decifrare un fenomeno religioso. A ciò si aggiunge l?azione irresponsabile di chi, da una parte e dall?altra, insiste a soffiare sul fuoco, approfittando della reciproca ignoranza e della diffidenza che ne deriva. Non si può fare a meno di costatare che esiste una classe intellettuale e politica italiana che fa proprie posizioni di rigidità oltranzista che, in Europa, appartengono a minoranze residuali e generalmente non trovano spazio nei media. Solo una convivenza intelligente, che non cerchi pretesti di scontro, ma costruisca nella negoziazione quotidiana, potrebbe delineare uno scenario nuovo, una società in cui tutte le identità in dialogo si trasformano reciprocamente in un cammino di cittadinanza condivisa. Tutto questo è destinato a restare utopia se non ci si impegna in modo radicale per combattere i pregiudizi, per diffondere un?informazione corretta, evitando linguaggi ambigui e espressioni fuorvianti. A partire da quella, più volte usata anche durante la tavola rotonda di Frascati, di ?Islam moderato?: essa implica che l?Islam-senza-aggettivi sia qualcosa di estremo, che può entrare nella sfera delle relazioni democratiche solo se previamente ?addomesticato?.