Comincio amaramente questo anno 2011 raccogliendo linput di Felice Celato a pensare, almeno per convincermi che ciò (il pensare intendo) abbia ancora senso in questa Italia, sperduta, smarrita, senza timoniere. Cogito ergo sum, dunque. Ma pensando, guardando oltre la fiction, non vedo altro che debolezze.
La debolezza di un governo che non può governare perché non ha di fatto i numeri certi per farlo.
La debolezza di un Centro, dove una delle componenti più importanti, sconosciuta e insperata fino allo scorso anno, il FLI vi arriva sconfitto nella madre di tutte le battaglie – sicuramente la più importante di quella dell’anno politico appena conclusosi – di riuscire a far cadere il governo, mettendolo in minoranza nel voto di fiducia dopo tanti strappi.
La debolezza di un’opposizione di Centrosinistra di fatto scissa in tre tronconi paralleli e sempre meno comunicanti: PD, IDV e Vendola. Ognuna per giunta debole: il PD, che non riesce a dimostrasi una forza credibile di alternativa; un IDV, proprio il partito che fa dell’antiberlusconismo una strategia, che non perde occasione nei momenti topici di regalare deputati a Berlusconi, ora peraltro anche lacerato al suo interno da lotte intestine; un Vendola, grande “affabulatore” ma “autistico”.
Da questa somma di debolezze politiche interne, condite da scandalucci periodici di donnine e festini, parentopoli e P3, scaturisce la debolezza allestero della nostra povera Italia. Basta andare un po fuori confine per lavoro o turismo per rendersene conto di persona: battutine, sorrisini, giudizi taglienti sulla vita del nostro Presidente del Consiglio e sulla compravendita dei parlamentari. Non mi meraviglio quindi che a Bruxelles, deve ero a fine dicembre per la chiusura dell’anno europeo di lotta alla povertà, sul palco, prima che parlasse Barroso, ci fossero i rappresentanti di Cipro e di Malta tra i tanti Paesi rappresentati e non ci fosse l’Italia. Che tra le tante lingue in traduzione simultanea dell’intervento del Commissario ci fosse il greco, l’ungherese, e non l’italiano. Sono piccole sfumature, ma anche segnali forti della scarsa credibilità del nostro Paese appena superate le Alpi. Veramente avvilente!
Siamo un Paese in declino, inutile nasconderlo, un insieme di tante debolezze (politiche, economiche, sociali, di prospettiva). La domanda (o la scommessa) per lanno appena cominciato è: l’alleanza di due debolezze (auspicate da Enrico Letta) potranno trasformasi in una forza? Lalleanza di tre o quattro debolezze (auspicate da DAlema) potranno trasformarsi in una forza?
Sebbene siano solo prime schermaglie, la richiesta di Casini a che il PD abbandoni definitivamente lIDV e Niki Vendola come condizione sine qua non per una possibile alleanza, mi suona alla fin fine così: in caso di elezioni preferiamo perdere alleandoci al Centro o preferiamo perdere alleandoci a sinistra? Ma sempre di perdere si tratta.
Laltra grande debolezza è economica. Siamo il Paese che primeggia in Europa solo nei segni meno: minor occupazione giovanile, minore crescita economica, minori investimenti in cultura e ricerca, minore natalità, minor contrasto allevasione fiscale, ecc. ecc.
Ora siamo anche il Paese della debolezza nelle relazioni industriali, con un sindacato sempre più spaccato di fronte ad un incalzante grande ricatto, comè il referendum alla Fiat. Impostato così come voluto dal suo AD, il referendum non sarà sui presunti contenuti dellaccordo, ma sulla domanda: vuoi ancora lavorare o no? E chiaro che il sì è una risposta scontata, tutti voteremmo sì, avendo mutui e affitti da pagare, figli da mandare a scuola, ecc. Ma sarà una vittoria di Pirro che comunque non sopirà le lacerazioni sociali e il fuoco sotterraneo. A proposito, qualcuno ha capito la posizione del PD?
Su tutto questo la notizia esilarante che Marchionne nel 2010 ha guadagnato 1034 volte di più di un suo operaio medio: 1034 volte di più di quelloperaio a cui vuole ridurre le pause e non far pagare i tre giorni di malattia! Valletta negli anni Cinquanta, nel momento di massima affermazione e sviluppo storico dellindustria automobilistica italiana, guadagnava 20 volte di più di un suo operaio. Ne deduciamo che Marchionne è 50 volte più bravo di Valletta. Il fatto è che la sua rendita è proporzionale al valore azionario del titolo Fiat (come ieri giornalisti economici spiegavano a LInfedele di Gad Lerner) e che il titolo cresce ogniqualvolta a Marchionne riesce uno strappo sindacale o annuncia acquisizioni ulteriori di quote azionarie come ieri alla Chrysler, non dunque sulla base del valore intrinseco di cosa FIAT ha prodotto e venduto, dallacquisizione di nuove quote di mercato. Così anche questa volta, vincendo il referendum sotto il ricatto della chiusura di Mirafiori e lo spostamento della produzione in Canada, punendo la FIOM e sancendo la definitiva rottura tra i sindacati e tra la CGIL e la FIOM, Marchionne potrà ottenere un ulteriore aumento di stipendio nella plausibile ipotesi di un rimbalzo al rialzo del titolo in borsa.
Resterà comunque alla fine di questa brutta pagina unItalia più debole e divisa. Un Italia lacerata da questa esperienza, che sancirà il passaggio definitivo da un capitalismo familiare, ereditario, assistito, ma comunque paternalistico e umano, ad un capitalismo personalistico, aggressivo, freddo, senza idealità, che sfrutta la globalizzazione (anche qui) in tutte le sue debolezze: come la mancanza di regole. Mercato globale, regole globali: ma quando? Qualcuno ne parla, qualcuno lo chiede? Allora che si vada dove conviene di più e chi se ne frega di quello che si lascia. Ma stiano attenti anche quegli industriali italiani, che adesso ammiccano soddisfatti per il sindacato allangolo, ma che non hanno la forza del ricatto di dire: o così o chiudo e mene vado. Prima o poi questi mostri che stiamo incubando oltre a minare il tessuto sociale ingloberanno e stritoleranno anche loro. Di questo passo perché dovremmo biasimare il lavoro minorile o gli schiavi-cinesi di Prato, se prevale la logica del vado-dove-mi-conviene-e-chi-se-ne-frega
Etica, responsabilità sociale: che belle parole!
Prevedo un 2011 veramente difficile per tutti, senza vincitori, solo perdenti.
Se etica e responsabilità sociale restano solo parole