Una persona unica nella vita. Come lei, nessuno.
Ieri in gran parte del mondo si è celebrata la festa dedicata alla mamma. Molto più di una semplice invenzione di marketing per venderci o farci ricevere l’ennesima scatola di cioccolatini.
Ma un nodo inestricabile di ricordi, gioie, nostalgia struggente. Il tutto, evocato dalla semplice giustapposizione di due sillabe. Mam, ma.
Eppure la maternità non sempre ha le sembianze rassicuranti di un dono, di una scommessa piena di gioia con la vita. Talvolta si presenta invece come sofferenza, vergogna, separazione dal proprio ambiente.
E proprio partendo da questi casi -meno felici nell’esordio- è iniziata una storia di dedizione e di crescita ormai lunga più di quarant’anni. Quella della Casa della Mamma, la casa famiglia che dal 22 maggio del 1969 accoglie, nel quartiere nomentano di Roma, madri in difficoltà con i loro bambini. Aiutandoli a ritrovare il passo giusto per avventurarsi nel mondo senza più timore, con consapevolezza e la giusta forza.
Questo è l’affresco vibrante –un’avventura a lieto fine- che delinea Marina Piccone nel suo bel libro “Racconti dalla Casa della Mamma”. La vicenda anzitutto di due donne coraggiose, Paola Spada ed Elisa Guarnieri, che proprio negli anni delle grandi contestazioni, vissero la loro particolare forma di ribellione e di slancio rinnovatore come apertura verso il prossimo. La difesa dei più inermi, madri giovanissime e sole, con nient’altro tra le braccia se non i loro bambini.
“Roma era circondata da borgate immerse nella povertà, spesso nella miseria”, così ricorda la fondatrice, Paola Spada. Lo scenario non è troppo dissimile da quello che oggi tocca in sorte ai tanti immigrati che cercano rifugio nelle nostre città. “Ricordo case costruite in una notte, pavimenti di terra battuta, fornelli a carbone, bambini denutriti, uomini disoccupati, madri disperate”.
Il libro ripercorre tutte le fasi di formazione e crescita di questa Casa, con il grande pregio di restituircela attraverso le voci stesse dei volontari, degli operatori, delle prime mamme accolte. E addirittura dei loro figli che, ormai adulti, ricordano con tenerezza il calore di quella piccola famiglia acquisita. “Ho sempre sentito una specie di protezione intorno a me – ricorda Daniele, il primo bambino arrivato con la mamma Antonella in via Udine- qualcosa che mi ha impedito di fare i veri errori e di evitare le trappole della crescita”.
Si susseguono così nel libro i racconti delle vacanze estive a Ronzone, il ricordo del marito di Paola Spada, Benedetto, così presente e sollecito verso i bisogni dei più indifesi. Fino alle esperienze più recenti, come la costituzione della cooperativa Pandora per la prevenzione del disagio minorile, o della Compagnia Teatrale “ Casa della Mamma”.
Storie a volte tragiche, ma attraversate da una nota di fondo comune: la speranza. Una ricchezza mai negata, capace di sopravvivere alle ingiurie più dure, quelle che la vita sembra riservare proprio alle persone più vulnerabili. Separazioni, povertà estrema, solitudine.
E in uno dei capitoli più belli del libro, l’intervista alla psicologa del centro, Nella Norcia, si dice non a caso con chiarezza che la richiesta delle giovani ospiti è prima di tutto “quella di essere ascoltate, di essere nel pensiero di qualcuno”.
Quarant’anni fa la Casa della Mamma è iniziata così, come una visione. Alimentata, cresciuta nel tempo e trasformata in una salda realtà dal più potente propulsore che gli uomini abbiano ricevuto in dote: l’amore. “Credemmo che tutto fosse rotto, perduto, macchiato -è il verso del poeta spagnolo Juan Ramòn Jiménez citato da Paola Spada a conclusione della sua testimonianza – ma dentro sorrideva la verità, aspettando”.