Astraiamoci dal presente e pensiamo al futuro, alla ricerca di “un lumicino”, incessante ed onorevole miraggio di Amedeo Piva.

Sappiamo tutti che, alle sue origini, il termine populismo aveva una radice storica nei movimenti di pensiero e di azione politica che caratterizzarono il periodo pre-rivoluzionario russo sul finire del XIX secolo e nei primi decenni del novecento. 

Tralasciamo la storia (chi ha curiosità di questo genere, si veda il volume Democrazia e Populismo di John Lucaks, tradotto in Italia nel 2005 per i tipi di Longanesi) e veniamo al corrente. Nel linguaggio politico odierno potremmo definire il populismo come l’atteggiamento di governo democratico che si basa su loop ideologico che, un po’ maliziosamente (ma non troppo), riassumerei così:

  1. si parte dall’assunto che “il popolo (sovrano)” sia incolto, ignorante, pigro, rozzo (nel pensiero e nello spirito critico), affamato di semplificazioni facili da memorizzare e desideroso di un approccio giocoso anche alle cose più serie;
  2. dunque ci si adopera per conquistarlo propinandogli visioni del presente e del futuro (di solito a breve termine) adeguate alla concezione che si ha dello stesso;
  3. per tale via, “il popolo (sovrano)”, lungi dall’essere guidato verso visioni adeguate della complessa realtà in cui viviamo, viene alimentato di messaggi sempre adeguati alla concezione che si ha dello stesso;
  4. ne risulta che “il popolo (sovrano)” viene progressivamente diseducato fino a risultare perfettamente allineato con la concezione di cui al punto1.

Quali sono gli strumenti di questa manipolazione? Infiniti (e, ahimè!, di destra come di sinistra)! E quasi tutti esaltati, nella loro efficacia, dalla potenza dei mass media. Facilissimo fare degli esempi:

  • Cominciamo dalla propalazione di una Weltanschauung (la visione del mondo) esaltante: noi siamo forti, più furbi degli altri, più intelligenti degli altri (“i nostri ricercatori ci sono invidiati da tutto il mondo”, chissà poi perché? Forse perché siamo una razza superiore! O forse per la straordinaria qualità delle nostre Università?); il nostro Paese è il più bello del mondo (tanto il popolo gira poco!); l’Europa, di cui (per fortuna, dico io!) facciamo parte, è gestita da un cumulo di burocrati che pensano solo a fissare regole assurde e fastidiose  (come quella che il debito pubblico non può crescere senza limiti) e ci abbandona nel momento del bisogno; l’Euro ci ha arrecato solo danni rivalutandosi contro il dollaro (quando si deprezzava invece voleva dire che era stato mal pensato!); gli Usa e i nostri alleati in generale ci amano e ci ascoltano con grande devozione.
  • Passiamo alla rilettura delle nostre istituzioni: la legge (e la giustizia) è subordinata al popolo, nel senso che il popolo può autorizzarne la violazione caso per caso, quando meglio gli aggradi, perché il popolo è sovrano! La Costituzione è una fastidiosa e pomposa eredità del passato; la Corte Costituzionale un organo che fa e disfa come gli pare, per motivazioni sempre politiche, mettendosi contro le leggi che il popolo sovrano ha voluto; il Parlamento serve solo per ratificare quanto chiede il Governo (le leggi si dibattono a “Porta a porta”o a “Ballarò” e si valutano coi sondaggi); della magistratura, meglio non parlarne per carità di patria. Le tasse sono una ruberia dello Stato (“non si mettono le mani nelle tasche dei cittadini!”).
  • Veniamo alla descrizione dell’azione politica: la delinquenza è una conseguenza dell’immigrazione (mafia, n’drangheta, nuova corona unita e camorra, corruzione, etc., forse comprese), e il Governo deve proteggerci con click days e motovedette; il debito pubblico cresce in continuazione (chi ha voglia si veda l’apposito sito www.brunoleoni.it  che ne mostra il contatore continuo) ma “i conti sono in ordine”; e poi le famiglie sono poco indebitate! Il federalismo è una necessità e lo vogliamo tutti (anche se ne ignoriamo i conti) perché avvicina la spesa al popolo sovrano.
  • Ed infine, soffermiamoci sui costumi, dove la devastazione è, se possibile, più radicale; qui la televisione è sovrana, per conto del popolo (si veda al riguardo l’articolo lucido, come sempre, di Galli della Loggia sul Corriere della sera di domenica 20 febbraio): in TV si discutono beghe familiari e condominiali, tempeste ormonali dell’adolescenza, fedeltà e tradimenti coniugali, perché tutto è una fiction o un reality show, la “trasparenza” un dovere, la riservatezza un vizio, l’impudicizia una virtù, le emozioni uno spettacolo, la sregolazione pulsionale (come dice De Rita) una legittima espressione del popolo; ci si diverte mettendo dei polli umani in batteria (presi dalla “gente comune” o fra “i famosi”) per vedere come si azzuffano o come copulano nello spazio ristretto; se c’è un fatto di sangue, si stimolano proclami di odio e dinieghi di perdono e richieste di giustizia, se c’è un processo deve necessariamente esserci un condannato, perché lo jus puniendi è del popolo sovrano che ha diritto alla sua vendetta comunque; se c’è un assolto già condannato dai criminologi della televisione, vuol dire che non c’è stata giustizia; degli arrestati si dice  la nazionalità solo se è straniera, perché solo noi siamo buoni; tutti hanno diritto di dire la loro (anche se non sanno quello che dicono) perché il popolo è sovrano, anche quando dice clamorose (sovrane) sciocchezze.

Così, di capitolo in capitolo, il populismo accompagna il popolo sovrano “ad una disarmante esperienza del peggio”,  per modo che “i fattori regressivi vincono sull’antropologia collettiva” (Rapporto Censis 2007), verso “una coazione al vuoto”…”in cui gli individui vengono sempre più lasciati a se stessi, liberi di perseguire ciò che più aggrada loro, senza più il quotidiano controllo di norme di tipo generale o dettate dalle diverse appartenenze a sistemi intermedi” (Censis 2010).

Bene, per così dire: se questo che abbiamo descritto è il quadro, che percorso possiamo immaginare per uscire da questa flatlandia dell’intelligenza? Mah! Nel farci gli auguri per il 2011 avevamo invocato il riarmo mentale suggerito da De Rita (Censis 2010); ma dove prender l’armi?

Al di là degli esercizi di ascesi civile che, pusillus grex, ci siamo prescritti all’inizio degli anni recenti (sorvegliare il nostro linguaggio, combattere gli emozionismi, dirci la verità, combattere i ciarlieri, etc), su un piano più generale credo che il macigno da rimuovere, prima che politico e civile, sia di natura culturale: quale barca ci trarrà indietro dalla flatlandia dell’intelligenza sulla quale ci ha spiaggiato il populismo (di destra e di sinistra)?

Escludo che possa trattarsi di semplice cambio di narratore: anzi, temo molto l’illusione che il cambiamento di favola può generare, perché non si governa con le narrazioni e nemmeno si gestiscono le  contingenze (De Rita) proponendo affabulazioni diverse. Purtroppo sono portato a temere che ci voglia uno shock, non so di quale tipo e non so quale temere di più, fra i tanti che potrebbero arrivare.

Nella situazione attuale, secondo me, le armi mentali di cui abbiamo disperato bisogno possiamo trovarle soltanto nell’ Europa migliore (si veda l’intervista del Presidente della Repubblica a Welt am Sonntag di qualche giorno fa), dove sta la nostra storia, dove stava la nostra cultura e dove starà, almeno io spero, il nostro futuro. E ciò, non perché l’Europa sia una specie di paradiso perduto (perché non lo è e ha, anch’essa, molti problemi) ma perché da soli non credo che saremmo in grado di tirarci fuori dal buco nero in cui ci siamo cacciati.

Quando si comporranno gli schieramenti elettorali ( e prima o poi dovrà pure accadere) dovremmo riflettere soprattutto su che cosa ci avvicina di più all’Europa migliore e che cosa ce ne allontana di più (in materia di istruzione, debito pubblico, politica energetica, problema dell’immigrazione, etc). Questo, per me, sarà il cammino dei prossimi mesi; questa l’ottica che entrambi gli schieramenti dovranno adottare se vogliono il bene del Paese.